Lo sviluppo del capitalismo fu accompagnato da significativi mutamenti psicologici

Lo sviluppo economico del capitalismo fu accompagnato da significativi mutamenti psicologici. Verso la fine del Medioevo uno spirito di irrequietezza cominciò a pervadere la vita della gente. Cominciò a svilupparsi il concetto moderno di tempo. I minuti divennero preziosi; un sintomo di questo nuovo senso del tempo è il fatto che a Norimberga sin dal sedicesimo secolo gli orologi suonino i quarti d’ora. L’avere tanti giorni festivi cominciava a sembrare una sfortuna. Il tempo era così prezioso che si aveva l’impressione di non doverlo spendere se non per scopi utili. Il lavoro divenne sempre più un valore supremo. Maturò un nuovo atteggiamento verso il lavoro, tanto forte che la classe media cominciò a provare indignazione per l’improduttività economica delle istituzioni della Chiesa. Gli ordini mendicanti provocavano risentimento perché apparivano improduttivi, e perciò immorali.

L’idea dell’efficienza diventò una delle più alte virtù morali. Contemporaneamente il desiderio di ricchezza e successo materiale diventò la passione onniassorbente. «Tutto il mondo, dice il predicatore Martin Butzer, corre dietro quei commerci e quelle occupazioni che portano il massimo guadagno. Lo studio delle arti e delle scienze viene messo da parte a vantaggio del genere più basso di lavoro manuale. Tutti i cervelli brillanti, dotati da Dio della capacità di condurre studi più nobili, vengono assorbiti dal commercio, che oggigiorno è così saturo di disonestà da esser diventato l’ultimo mestiere a cui un uomo onorevole dovrebbe dedicarsi».

Tra i mutamenti economici che abbiamo descritto ne spicca uno che investiva tutti indistintamente. Il sistema sociale medioevale era crollato, e con esso la stabilità e la relativa sicurezza che aveva offerto all’individuo. Ora, con l’inizio del capitalismo, tutte le classi della società si misero in moto. Non c’era più un posto fisso nell’ordine economico che potesse esser considerato naturale, indiscutibile. L’individuo era abbandonato a se stesso; tutto dipendeva dal suo sforzo personale, non dalla sicurezza del suo prestigio tradizionale.

Questo sviluppo, tuttavia, aveva su ciascuna classe effetti diversi. Per i poveri delle città, gli operai e gli apprendisti, significava crescente sfruttamento e impoverimento; anche per i contadini comportava una maggiore pressione economica e personale; la bassa nobiltà si trovava davanti alla rovina, sebbene in modo diverso. Mentre per queste classi il nuovo sviluppo era in sostanza un mutamento in peggio, la situazione era molto più complicata per la classe media urbana. Abbiamo già parlato della crescente differenziazione avvenuta nei suoi ranghi. Vasti settori di questa classe vennero a trovarsi in una posizione sempre peggiore. Molti artigiani e piccoli commercianti dovevano affrontare la superiore potenza dei monopolisti e di altri concorrenti forniti di maggiore capitale, e fu sempre più difficile per loro restare indipendenti. Spesso si trovavano a lottare con forze soverchianti, e per molti di loro era una lotta disperata. Altri settori della classe media erano più prosperi e partecipavano alla generale spinta verso l’alto del capitalismo in ascesa. Ma la crescente importanza del capitale, del mercato e della concorrenza rendeva insicura, isolata e piena di ansietà anche la situazione personale di questi ultimi.

Il fatto che il capitale assumesse un’importanza decisiva significava che una forza sovrapersonale determinava il loro destino economico e quindi il loro destino personale. Il capitale «aveva cessato di esser servo ed era diventato padrone. Assumendo  una vitalità distinta e indipendente, rivendicava il diritto del socio maggiore a imporre l’organizzazione economica più confacente alle sue esigenze».

La nuova funzione del mercato ebbe un effetto analogo. Il mercato medioevale era relativamente piccolo, e il suo funzionamento era facile a capirsi. Esso portava la domanda e l’offerta in contatto diretto e concreto. Un produttore sapeva approssimativamente quanto doveva produrre, e poteva essere relativamente sicuro di vendere i suoi prodotti ad un prezzo giusto. Adesso era necessario produrre per un mercato sempre più vasto, e non era possibile determinare in anticipo le possibilità di vendita. Perciò non bastava produrre i beni utili. Pur essendo questa una condizione necessaria per venderli, erano le leggi imprevedibili del mercato a decidere se i prodotti potevano essere venduti, e, in caso positivo, con qual profitto. Il meccanismo del nuovo mercato ricordava la dottrina calvinista della predestinazione, la quale insegnava che l’individuo doveva fare ogni sforzo per esser buono, ma che già prima della sua nascita era stato deciso se egli doveva o non doveva esser salvato. Il giorno del mercato diventava il giorno del giudizio per i prodotti dell’attività umana.

La crescente importanza della concorrenza era, in questo contesto, un altro fattore di rilievo. Certamente la concorrenza non era del tutto mancata nella società medioevale, ma il sistema economico feudale si fondava sul principio della collaborazione ed era governato — o imprigionato — da norme che frenavano la concorrenza. Con l’ascesa del capitalismo questi princìpi medioevali cedettero sempre più al principio dell’iniziativa individuale. Ogni individuo doveva tentare la sorte: doveva nuotare o andare a fondo. Gli altri non erano alleati a lui in una comune iniziativa, e perciò diventavano concorrenti, e spesso gli si poneva la scelta di distruggerli o di venirne distrutto.

Naturalmente l’importanza del capitale, del mercato e della concorrenza individuale non era, nel sedicesimo secolo, grande come doveva diventare in seguito. Però tutti gli elementi decisivi del capitalismo moderno erano a quel tempo già comparsi, e così pure il loro effetto psicologico sull’individuo.

Oltre a questo aspetto del quadro ce n’era un altro: il capitalismo liberava l’individuo. Liberava l’uomo dall’irreggimentazione del sistema corporativo; gli consentiva di reggersi con le proprie forze e di tentare la sorte. Egli diventò padrone del suo destino: suo era il rischio, e suo il guadagno. Lo sforzo individuale poteva portarlo al successo e all’indipendenza economica. Il denaro divenne il grande livellatore degli uomini e si dimostrò più potente della nascita e della casta.

Questo aspetto del capitalismo cominciava appena a delinearsi […]. Giocava una parte più importante nei confronti del piccolo gruppo di ricchi capitalisti che in quelli della classe media urbana. E tuttavia, sia pur nella misura in cui incideva a quel punto, ebbe un effetto importante nel foggiare la personalità dell’individuo.

Se cerchiamo ora di riassumere il nostro esame dell’effetto che ebbero sull’individuo le trasformazioni sociali ed economiche dei secoli quindicesimo e sedicesimo, arriviamo al quadro seguente.

Troviamo la stessa libertà ambigua che abbiamo notato in precedenza. L’individuo è liberato dalla schiavitù dei vincoli economici e politici. Ha anche incrementato la sua libertà positiva grazie al ruolo attivo ed indipendente che deve svolgere nel nuovo sistema. Ma al tempo stesso vengono meno quei vincoli che solevano dargli sicurezza e un sentimento di appartenenza. La vita non viene più vissuta in un mondo chiuso ruotante intorno all’uomo; il mondo è diventato illimitato e al tempo stesso minaccioso. Perdendo il suo posto fisso in un mondo chiuso, l’uomo perde anche la risposta sul significato della sua vita; la conseguenza è che comincia a sorgergli il dubbio su se stesso e sullo scopo della vita. È minacciato da possenti forze sovrapersonali: il capitale e il mercato. Il rapporto con i suoi simili, ora che questi sono diventati tutti potenziali concorrenti, e diventato un rapporto di ostilità e di estraneità: egli è libero, ossia è solo, isolato, minacciato da tutte le parti. Non avendo la ricchezza o il potere che aveva il capitalista del Rinascimento, e avendo per di più perduto il senso dell’unità con gli uomini e l’universo, è sopraffatto dal senso della sua personale nullità e impotenza. Il paradiso è perduto per sempre, l’individuo è restato solo ad affrontare il mondo: un estraneo gettato in un mondo illimitato e minaccioso. La nuova libertà è destinata a creare un profondo sentimento di insicurezza, impotenza, dubbio, solitudine e ansietà. Questi sentimenti debbono essere alleviati se l’individuo deve operare con successo.

 

ERICH FROMM

Da “Fuga dalla libertà” – Edizioni di Comunità

Foto: Rete

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