L’università, gli studenti e le tende

 

Non possiamo che essere solidali con quei giovani che – dormendo provocatoriamente in tenda – stanno protestando contro il caro affitti nelle principali città universitarie italiane.

Il caro affitti infatti rappresenta uno dei principali ostacoli all’accesso all’istruzione superiore per gli studenti italiani. Questa situazione mette in grave difficoltà i ragazzi provenienti dalle famiglie del ceto medio e basso, che spesso non hanno le risorse necessarie per sostenere le spese di un alloggio oltre alle tasse universitarie e agli altri costi di sopravvivenza.

Le borse di studio infatti coprono solo una piccola parte degli studenti universitari, trasformando i discorsi sul “diritto allo studio” in pura retorica.

Ovviamente al caro affitti contribuiscono le carenze di residenze universitarie, l’assenza di adeguate politiche di calmierazione dei prezzi, gli affitti ai turisti e le grandi lobby dei palazzinari che, “riempiendo” le città di locali sfitti, mantengono artificialmente i prezzi sempre più alti. Fatto che chiaramente danneggia non solo gli studenti ma anche tutte le altre categorie.

Ma oltre al tema specifico, la questione di fondo è che l’università italiana sta tornando quella del secondo dopoguerra, prima dei grandi cambiamenti portati dai movimenti studenteschi. Un’università classista , elitaria ed esclusiva, che favorisce i figli delle classi privilegiate che, indipendentemente dalle loro capacità, vengono spinti per diventare oligarchia del domani. In questo contesto l’università italiana in molti casi non è più un luogo di formazione e crescita per i giovani, ma piuttosto un ambiente che contribuisce alla perpetuazione delle disuguaglianze sociali e alla mancanza di sviluppo di un pensiero critico e indipendente.

Tale situazione è infatti supportata da un vasto apparato mediatico che diffonde sistematicamente l’idea che “lo studio” non è per tutti, che “la formazione” è inutile se non viene legata soltanto alla produzione. L’obiettivo di questa ideologia è quello di formare classi di lavoratori accondiscendenti, siano essi di alta, media o bassa qualifica. Così creiamo perlopiù schiere di automi che, oltre a non rivendicare i propri diritti, spesso sono talmente aridi (indipendentemente dal grado di formazione) da non sviluppare nemmeno quell’apertura mentale fondamentale in tutti i processi umani degni di questo nome.

La formazione professionale venire dopo la formazione umana, il cui scopo in una società sana dovrebbe essere quello di crescere cittadini consapevoli, solidali l’uno con l’altro e dotati di grande senso critico.

Ovvero quello che hanno chiesto generazioni di studenti attivi nei momenti, nelle associazioni, nelle organizzazioni, nei collettivi dal dopoguerra in poi. Solo “agitandosi” nuovamente gli studenti potranno tornare ad avere sistema universitario inclusivo, aperto e accessibile, utile per loro e indispensabile per l’intera società.

Cronache Ribelli

 

Foto: Rete

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