Non disprezzo la libertà sociale, disprezzo la libertà individuale, ossia la priorità assegnata dal liberismo all’americana ai diritti privati sui doveri nei confronti della propria comunità. Il dire quello che si pensa non è una libertà: nel migliore dei casi è democrazia e funziona solo se ci sono leggi che garantiscano un reale pluralismo dell’informazione, non l’astratto diritto del singolo di potersi esprimere come gli pare. Leggete il celeberrimo primo emendamento della Costituzione americana, che appunto proteggerebbe la libertà di espressione. Scoprirete che la protegge solo contro il governo, nel senso che non si può venire imprigionati per aver criticato il presidente o i trans. Ma si può venire licenziati in tronco, bloccati sugli asocial, condannati a pesanti multe in una causa civile.

In un regime fascista tradizionale, ormai impossibile, non staremmo qui a scrivere inutilmente su facebook ma magari faremmo circolare, con qualche rischio e più effetti, un giornale clandestino, che il fascismo tradizionale proibiva proprio perché lo considerava pericoloso mentre noi possiamo dire quello che vogliamo perché non facciamo neppure il solletico al potere. In breve, il diritto alla libertà non dà libertà, solo insignificanza.

Il che porta alla ragione teorica per cui critico la libertà come è oggi intesa, ossia come diritto universale di essere quello che si vuole: la libertà non è un diritto e non è un valore: la libertà è uno stato, una condizione. Una condizione auspicabile ma che è l’effetto e mai la causa di un buon governo e di una società sana. In sostanza un sistema giusto, egualitario, solidale, morale, porta alla libertà ma la libertà come valore autonomo non porta né giustizia né eguaglianza e distrugge solidarietà e morale.

FRANCESCO ERSPAMER

Dalla pagina Fb dell’autore

Foto: RETE