Il fiore dell’oblio: il papavero

 

Tutti i papaveri hanno in farmacopea effetti simili, ma non sempre contengono sostanze altamente stupefacenti come il Papaver somniferum, da cui si estrae l’oppio. Il papavero rosso o rosolaccio (Papaver rhoeas), comune nei nostri campi nella tarda primavera, è blandamente sedativo e antispasmodico. Soggetto all’influsso di Saturno, è simbolo di Pigrizia, Misantropia e Mollezza di carattere. Queste virtù soporifere hanno ispirato alcuni detti per le persone noiose: «Sei un papavero!» oppure «Che papavero!». A sua volta Giuseppe Parini nel Giorno così descriveva in versi il sonno:

che a te gli stanchi sensi

non sciolga da’ papaveri tenaci

Morfeo.

Se le sue proprietà soporifere hanno ispirato questi simboli, il colore parrebbe smentirli col suo rosso intenso che evoca immagini solari. Lo sosteneva anche John Ruskin: «Io ho nelle mie mani» scriveva da Roma «un piccolo papavero rosso raccolto domenica al Palazzo dei Cesari. È un fiore intensamente semplice, intensamente floreale. Tutto seta e fuoco, un calice scarlatto tagliato perfettamente tutt’intorno, si vede da lontano in mezzo alle erbe selvatiche come un carbone ardente caduto dagli altari del cielo. Non è possibile immaginare un tipo di fiore più completo, più genuino e assolutamente puro; dentro e fuori tutto fiore. Nessuna limitazione di colore dappertutto, nessuna esteriore volgarità, nessun segreto interiore; aperto al sole che l’ha creato, finemente rifinito sopra e sotto, fin giù al più estremo punto di innesto».

Simbolo del Cristo Redentore

Ai cristiani il racconto della Passione e morte del Cristo, con le sue carni sanguinanti, straziate dai chiodi e dal colpo di lancia che ne aveva trafitto il cuore, aveva suscitato immagini purpuree; sicché incontrando nei campi della tarda primavera i rosolacci che insanguinavano i campi di grano e le prode dei sentieri, non poterono non evocarne il simbolo del Fiore redentore sbocciato nello scarlatto e nella porpora del suo sacrificio. Tale immagine potrebbe avere ispirato un passo della corrispondenza di san Girolamo, citato da Charbonneau-Lassay, dove egli chiamava Cristo il Fiore: «II nostro Fiore ha fatto morire la Morte; e questo Fiore è morto al fine di distruggere la Morte con la sua»; e un altro dell’Apocalisse dove appare come un cavaliere coperto da un mantello tinto di sangue e che cavalca un cavallo bianco. A sua volta Onorio d’Autun lo identificava con il fiore di campo di cui parla il Cantico di Salomone e che fu sempre considerato un simbolo del Cristo: sicché troviamo spesso il rosolaccio scolpito nelle cattedrali medievali quale simbolo del Sacrificio del Salvatore.

Emblema dei potenti

Ma il fiore è anche associato al potere a causa di una leggenda che ha come protagonista un re di Roma. Un giorno Tarquinio il Superbo, per mostrare al figlio il metodo più sicuro per impossessarsi di Gabi, fece abbattere con un bastone i papaveri più alti del suo giardino spiegandogli con un’immagine simbolica che si dovevano eliminare prima di tutto i cittadini più autorevoli o potenti. Sicché nel linguaggio comune si dice: «Gli alti papaveri della politica»; oppure: «È stato qualche grosso papavero a procurargli quella carica». A questo simbolo si è ispirata anche una canzonetta italiana degli anni Cinquanta che cominciava con le parole: «Lo sai che i papaveri son alti, alti alti…».

Una volta nella tradizione popolare un suo petalo veniva usato come prova di fedeltà in amore: posto sul palmo della mano e colpito da un pugno, doveva produrre uno schiocco per dimostrare che l’amato era fedele.

Nel linguaggio dei fiori il papavero simboleggia invece l’Orgoglio sopito.

 

ALFREDO CATTABIANI

In “Florario” – Mondadori

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