Liberarsi da una dipendenza

 

“Qualsiasi forma di dipendenza è deleteria, non importa se il narcotico è l’alcol, la morfina o l’idealismo».( Cari Gustav Jung, 1960)

La maggior parte delle persone collega il termine dipendenza all’uso di droghe. In realtà, la lista di sostanze in grado di indurre dipendenza è molto lunga, e include alcol, stimolanti (come la cocaina), oppiacei, allucinogeni, marijuana, tabacco e barbiturici.

Lo sviluppo di una dipendenza implica l’esposizione a una determinata sostanza, seguita da comportamenti che garantiscono la frequente ripetizione dell’esperienza. La dipendenza si instaura nel corso del tempo, in seguito al regolare consumo della sostanza, in dosi crescenti. Malgrado i costi elevati del vizio, i rischi per la salute o la sua illegalità, il consumatore sembra incapace di rinunciarvi. Questo uno alla complesso processo implica fattori biologici, psicologici e sociali.

Alcuni ricercatori hanno approfondito come mai particolari droghe o attività creino facilmente dipendenza, mentre altri hanno tentato di comprendere perché certi individui sembrino più suscettibili rispetto ad altri. Molti autori si sono concentrati sulle condizioni ambientali e sociali che rendono la dipendenza più probabile, altri hanno esaminato il percorso di disintossicazione e i rischi di ricaduta.

Dipendenza o abuso?

La letteratura psichiatrica distingue tra dipendenza e abuso di sostanze psicoattive, attribuendo ai due termini un significato tecnico differente. La dipendenza è associata a fenomeni specifici: la tolleranza (cioè la necessità di assumere dosi della sostanza sempre più elevate per ottenere l’effetto desiderato); i sintomi di astinenza (conseguenti alla sospensione dell’assunzione); l’ossessione a procurarsi le dosi; il deterioramento delle attività ricreative, professionali e sociali; l’uso continuativo malgrado la piena consapevolezza dei rischi per la salute. L’abuso consiste nell’uso patologico di una sostanza, che determina un’incapacità di adempiere ai principali compiti connessi con gli impegni lavorativi, scolastici o familiari. La sostanza è spesso assunta in situazioni fisicamente rischiose (per esempio, guidando l’automobile o al lavoro) e può essere causa di problemi legali. Malgrado i gravi effetti collaterali provocati o esacerbati dalla sostanza, il soggetto non rinuncia all’abuso.

Suscettibilità a sviluppare una dipendenza

L’idea che certi individui, dotati di profili specifici, manifestino una particolare propensione o suscettibilità a cadere vittima di dipendenze di qualsiasi tipo non è mai stata confermata dalla ricerca. Alcuni psichiatri interpretano la dipendenza come una conseguenza di malattie mentali (per esempio, la depressione o il disturbo antisociale di personalità), partendo dall’idea che i soggetti ricorrano alle droghe nel tentativo di alleviare i sintomi. Si spiegherebbe in questi termini la loro tendenza a ignorare o minimizzare qualsiasi conseguenza negativa della dipendenza sviluppata.

In campo clinico, è stata evidenziata la tendenza dei tossicodipendenti ad assumere droghe per compensare i loro disturbi e affrontare le difficoltà. Le sostanze psicoattive riducono la sensibilità, rendono più tollerabili stati emotivi dolorosi e attenuano i conflitti interiori. Possono inoltre contribuire a far sentire l’individuo meno solo, compensando l’assenza di relazioni interpersonali soddisfacenti. Poiché i tossicodipendenti hanno la sensazione di poter funzionare adeguatamente solo sotto l’effetto di droghe, nel corso del tempo la dipendenza è aggravata dalla necessità di continuare a svolgere efficacemente le proprie funzioni sociali.

Vulnerabilità genetica

Alcune famiglie sembrano maggiormente soggette a disturbi da dipendenza rispetto ad altre. Per esempio, i figli di individui alcolizzati hanno una probabilità quattro volte superiore alla media di sviluppare questa stessa dipendenza. Studi su gemelli hanno chiaramente segnalato le determinanti genetiche dell’abuso di sostanze. È ipotizzabile che complessi fattori genetici condizionino la risposta biologica dell’individuo alle droghe, probabilmente mediata da specifici neurotrasmettitori. Dunque, alcuni individui assumerebbero droghe come autoterapia, per correggere squilibri biochimici cerebrali di natura ereditaria.

Teoria del processo antagonista

Questa teoria postula che i sistemi reagiscano e si adattino agli stimoli contrastando i loro effetti iniziali. La sperimentazione di sensazioni mai provate prima dell’assunzione di una droga genera un desiderio, che si trasforma in bramosia, e si rinforza in seguito alle successive esposizioni. Tutte le forme di dipendenza sono accomunate da un certo numero di fenomeni. L’uso della sostanza è associato a uno stato affettivo piacevole, che include una componente emotiva e una fisica. Tale condizione è descritta come una sensazione di rilassatezza, di rilascio delle tensioni o di improvvisa energia. La tolleranza affettiva consiste invece nel bisogno di assumere dosi crescenti della sostanza per ottenere lo stesso effetto. Lo stato di astinenza compare quando l’assunzione è sospesa.

In base al fenomeno del contrasto affettivo, la droga innesca un processo responsabile di una reazione opposta, che si potenzia con la ripetuta esposizione. In seguito all’abuso progressivo, la reazione dominante diviene negativa. L’esperienza provoca sempre meno reazioni piacevoli, ma il soggetto ha bisogno di assumere la sostanza per riacquistare uno stato neutro.

Teoria del rinforzo positivo

All’inizio la droga rende felici e persino euforici. Negli anni ’60, esperimenti condotti su scimmie libere di autosomministrarsi morfina hanno dimostrato la comparsa negli animali di tutti i segni collegati alla dipendenza da sostanze. Gli psicologi hanno approfondito lo studio dei circuiti cerebrali che controllano la ricompensa, indagando in particolare le regioni cerebrali e i neurotrasmettitori coinvolti nelle cosiddette «ricompense naturali», come il cibo e il sesso, contrapposte ai rinforzi artificiali, come le droghe e la stimolazione elettrica cerebrale. Sappiamo che sostanze come la cocaina e le anfetamine determinano un aumento della dopamina sinaptica in una regione cerebrale chiamata nucleus accumbens, provocando una reale sensazione di benessere e suscitando il desiderio di ripeterla.

Teorie dell’apprendimento

Le sensazioni piacevoli derivate dall’assunzione di droghe sono associate a esperienze specifiche, visive e uditive. Gli individui tendono perciò a collegare la sostanza (come alcol o anfetamine) a stimoli e richiami specifici. Contesti particolari (il bar o il pub per l’alcolista, l’odore di tabacco per il tabagista) inducono un impellente stato di bisogno. La consapevolezza della disponibilità della sostanza suscita un intenso desiderio, che deve essere soddisfatto. Per molti versi, questa tesi ripropone la teoria del condizionamento classico.

 

Criteri psichiatrici per la dipendenza da sostanze

La dipendenza è una modalità patologica dell’uso della sostanza che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi, come emerge dalle condizioni seguenti, che ricorrono in un qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi:

  1. Tolleranza, definita dal bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato e/o da una diminuzione dell’effetto con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza.
  2. Astinenza, manifestata dalla sindrome di astinenza caratteristica della specifica sostanza e dall’abitudine ad assumere quella stessa sostanza (o una simile) per attenuare o evitare i sintomi di astinenza.
  3. La sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto.
  4. Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza.
  5. Una grande quantità di tempo è spesa in attività necessario a procurarsi la sostanza o a riprendersi dai suoi effetti.
  6. Interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’uso della sostanza.
  7. Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza.

Smettere di fumare

Le due forme di dipendenza più controverse sono il consumo di alcolici e il tabagismo. Nei paesi occidentali, il 25-30% della popolazione continua a fumare, benché questo comportamento sia ritenuto responsabile di un terzo dei casi di tumore. Il vizio del fumo, oggi stigmatizzato in molte culture, ha varie cause. I fattori che inducono l’individuo a cominciare a fumare (pressione sociale, modelli di ruolo) non sempre coincidono con le motivazioni che lo incoraggiano a continuare.

La nicotina è un potente stimolante, in grado di accelerare il battito cardiaco e aumentare la pressione sanguigna, diminuire la temperatura somatica, modificare il rilascio di ormoni da parte della ghiandola pituitaria e aumentare la liberazione di adrenalina.  Il meccanismo di dipendenza è potenziato dal rilascio di dopamina nel sistema nervoso centrale, ma soprattutto dagli spiacevoli sintomi di astinenza associati alla sospensione dell’assunzione di nicotina: ansia, mal di testa, irritabilità e insonnia.

Smettere di fumare ha dunque effetti sia immediati che a lungo termine. Diversi fumatori provano a ridurre il numero di sigarette o a smettere completamente. Le campagne pubblicitarie sui rischi del fumo promosse dal governo, i programmi educativi di prevenzione, l’aumento dei prezzi delle sigarette e le norme sempre più restrittive imposte sulla vendita e sui luoghi dove è permesso fumare, finora hanno ottenuto risultati modesti. Chi è intenzionato a smettere tenta di tutto: dai cerotti alle gomme alla nicotina, dalla psicoterapia all’ipnosi, oppure si affida alla semplice forza di volontà. Ma liberarsi da questa dipendenza è molto difficile, perché il bisogno della sigaretta è sostenuto da diversi fattori: visivi, olfattivi, fisiologici e sociali

 

In 50 GRANDI IDEE DI PSICOLOGIA, di Adrian Frnham – Edizioni Dedalo

Foto: RETE

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