La professione del barbiere nasce e si evolve dall’XI secolo, quando la Chiesa comincia a vietare ai chierici l’esercizio di attività che comportino i contatto con il sangue.
Fino ad allora, infatti, il barbiere, in qualità di aiutante laico, aveva affiancato il monaco addetto a curare la tonsura dei confratelli, a togliere denti doloranti, a salassarli a scopo igienico-curativo. Svincolato dal legame ecclesiastico, quindi, il barbiere comincia a mettere in pratica nel resto del mondo ciò che ha appreso all’interno del monastero.
La sua bottega in età comunale si distingue per una vaschetta in peltro, appesa all’esterno del locale; altre volte, invece, l’insegna del barbiere richiama la pratica del salasso e quindi reca l’immagine di un avambraccio con una vena aperta dalla quale esce copiosamente il sangue. Anche il chirurgo vero e proprio, a testimonianza della contiguità dei ruoli, utilizza il simbolo della vaschetta, diversa soltanto nel materiale: anziché di peltro è in ottone.
Il barbiere, dunque, più che per il taglio di barba e capelli, è conosciuto per la sua capacità di praticare salassi e buona parte del suo salario arriva proprio da questo.
Per comprendere l’importanza di questa pratica, bisogna far riferimento al grande medico Galeno (II sec.), secondo il quale una persona era in buona salute quando i fluidi e gli umori interni scorrevano armoniosamente; secondo lui, la malattia veniva provocata da un “ingorgo” di questo flusso e il salasso poteva essere il rimedio migliore per guarire veramente.
La pratica del salasso poteva avvenire secondo due differenti tecniche. Un metodo imponeva al paziente di stare seduto con il braccio destro proteso per l’operazione, mentre con la stessa mano stringeva un bastone infisso nel terreno e con la mano libera veniva tenuta la vaschetta per raccogliere il sangue. Altre volte, invece, si preferiva incidere la vena della fronte: il paziente, dopo la rasatura dei capelli, doveva stare a testa in giù, con un fazzoletto stretto a collo, per far ingrossare le vene da aprire.
Se durante il salasso l’ammalato perdeva i sensi, un liquido tonificante (acqua e fiori d’arancio o un vino liquoroso) era sempre pronto per un uso immediato.
Successivamente, per facilitare la chiusura della vena, il taglio veniva cosparso con una misteriosa polverina, preparata dallo stesso barbiere-chirurgo, secondo una ricetta segreta.
Insomma, i barbieri dell’epoca, così preparati dal punto di vista chirurgico, erano molto richiesti: alle terme dove era indispensabile effettuare un salasso, prima di iniziare un ciclo di cure; nei castelli dove, oltre a tagliare barba e capelli, sapevano curare i mal di testa e togliere i denti; negli ospedali dove, alle dipendenze di veri medici, curavano seguendo abilmente le loro indicazioni.
Furono proprio i barbieri, nel periodo della peste nera del 1300, che curavano i malati incidendo quei bubboni generati dal morbo, spesso rischiando di contrarre la malattia proprio nell’esercizio del mestiere.
In “MEDIOEVO FAVOLOSO” – Agorà Edizioni
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