La pervinca, la Rondine dei fiori

 

I fusti striscianti della pervinca (Vinca maior e Vinca minor, della famiglia delle Apocynaceae, genere Apocynum) formano con le loro foglie lanceolate tappeti sempreverdi da cui a partire da febbraio spuntano fiori di un colore particolare, un azzurro intenso trascolorante nel malva, che ha preso il nome dalla pianticella.

In Russia la si collegava così strettamente alla bella stagione che la si soprannominò «rondine dei fiori».

Fin dall’antichità la pervinca è stata raccomandata per la cura di molte malattie ed è apprezzatissima anche dalla fitoterapia contemporanea contro cefalee e vertigini, disturbi della memoria, sclerosi cerebrali e per combattere linfomi e mielomi multipli. Nelle forme di tubercolosi polmonari se ne utilizzano le foglie per le loro capacità emostatiche. È anche un ottimo tonico amaro, raccomandato per combattere le anemie leggere, le convalescenze difficili e la mancanza di appetito. Grazie a un alcaloide, la vincamina, migliora la circolazione sanguigna abbassando la pressione arteriosa e dilatando i vasi.

Come tutti i fiori a cinque petali, che in questo caso sono di forma irregolare, non può non evocare la presenza della Grande Madre: lo conferma il fatto che nel XVII secolo, in Inghilterra, la si considerava un’erba sacra a Venere e si diceva che le foglie mangiate dal marito e dalla sua sposa avrebbero propiziato l’amore fra loro. Le si attribuiva anche la facoltà di arrestare il flusso del sangue dal naso se si appendeva una ghirlanda di fiori al collo.

In molti paesi europei si usava spargerne i fiori davanti agli sposi ma se ne intrecciavano anche i rami a formare corone per i morti. Nell’Inghilterra medievale veniva talora portata dai condannati a morte: vita e morte sono di nuovo compresenti in una pianta dedicata alla Grande Madre.

Giovanni Pascoli ne offrì in una sua poesia della raccolta Myricae – intitolata Pervinca – un simbolismo malinconicamente celeste:

 

So perché sempre ad un pensier di cielo

misterioso il tuo pensier s’avvinca,

sì come stelo tu confondi a stelo,

vinca pervinca;

 

io ti coglieva sotto i vecchi tronchi

nella foresta d’un convento oscura,

o presso l’arche, tra vilucchi e bronchi,

lungo le mura.

 

Solo tra l’arche errava un cappuccino:

parea spettro da quell’arche uscito,

bianco la barba e gli occhi d’un turchino

vuoto, infinito;

 

come il tuo fiore: e io credea vedere

occhi di cielo, dallo sguardo fiso,

d’anacoreti, allo svoltar, tra nere

ombre, improvviso;

 

e il bosco alzava, al palpito del vento,

una confusa e morta salmodia,

mentre squillava, grave, dal convento

l’avemaria.

[…]

Nel linguaggio dei fiori la pervinca ha ispirato un dolce messaggio, un poco nostalgico, perché comunica a chi la riceve che si conserva religiosamente il suo Ricordo.

 

ALFREDO CATTABIANI

In “Florario” – Mondadori

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