Il filosofo uomo di mondo: ARISTOTELE

 

Aristotele, ritenuto con Platone il più grande tra i filosofi greci, il pensatore che, come scrisse il famoso filologo Wilamowitz, “suscitò l’ammirazione della Scolastica e le maledizioni degli studenti destinati a imparare a memoria il suo sistema su aridi compendi”, nacque nel 384 o 383 a.C. a Stagira. Da qui il soprannome di “Stagirita”, che sarebbe quasi come parlare di Schelling come del “Leonberghese”, di Nietzsche come del “Ròckenese” e di Fichte come del “Rammenauese” ecc.

Tuttavia, per quanto riguarda Aristotele, non è affatto irrilevante che sia nato a Stagira, anche se è innegabile che questa cittadina non abbia prodotto null’altro di significativo. L’aspetto interessante è che Stagira si trova in una lontana provincia della Tracia e che dunque Aristotele, a differenza del suo maestro Platone, non è un cittadino di Atene, vale a dire della capitale spirituale della Grecia, bensì un provinciale.

Un altro punto lo divide da Platone, il non essere di famiglia aristocratica. Non per questo è un cittadino qualunque, essendo anzi esponente della buona borghesia, in quanto figlio di un medico che era addirittura il medico personale del re di Macedonia. Ci si sarebbe aspettati che egli prendesse il posto del padre nell’ambulatorio, occupandosi anche dell’incarico di farmacista o, per usare un’espressione tipica di alcune fonti antiche, di “pilloliere”. Ma Aristotele desiderava ardentemente andare ad Atene; i genitori acconsentirono non senza aver prima interrogato l’oracolo su quello che egli vi avrebbe dovuto fare. La risposta del dio fu che Aristotele avrebbe dovuto studiare filosofia, e non potremmo nemmeno lontanamente immaginare quale storia avrebbe avuto la filosofia occidentale se l’oracolo avesse risposto diversamente.

Il padre, che era benestante, fornì al figlio tutto ciò che era necessario per i suoi studi. Del resto, Aristotele condusse sempre, anche dopo esser divenuto filosofo, una vita fatta di comodità, servito e riverito, soddisfacendo i suoi gusti per la buona tavola. Il suo modello non è certo Diogene, a lui contemporaneo, famoso per vivere chiuso in una botte: alla felicità, scriverà infatti più tardi lo stesso Aristotele, concorre anche il poter godere a sufficienza dei beni di questo mondo. Il che poi corrisponde a quel che si tramanda, che egli vestisse sempre in modo ricercato, senza rinunciare ad anelli e a capelli ben curati. Questo modo di presentarsi nascondeva tuttavia una figura piuttosto esile, come riporta un’altra fonte: “Era debole sulle gambe e aveva piccoli occhi” e “quando parlava era un po’ affetto da blesità”.

Quest’uomo, dunque, lascia Stagira e si reca ad Atene, deciso a occuparsi di una scienza, la filosofia, che a quel tempo non era affatto una disciplina secondaria e particolare, relegata a discutere mere sottigliezze, ma abbracciava ogni cosa, costituendo il fondamento di ogni forma di sapere. Chi vuole infatti intraprendere la carriera politica, militare o di insegnante, indipendentemente dalla sua materia, deve prima occuparsi di filosofia.

La grande chanche che all’epoca Atene poteva offrire aveva il nome di Platone, che aveva raccolto nella sua Accademia, nel bosco sacro ad Académo, una schiera di allievi, insieme coi quali si dilettava di filosofia. Aristotele entra a far parte di questa cerchia a diciassette anni e vi rimane per altri venti, studiando, discutendo e dedicandosi anima e corpo alla lettura, tanto che lo stesso Platone gli diede, a quanto pare, il soprannome di “Lettore”. Per tutta la vita Aristotele nutrì un profondo rispetto e una sconfinata ammirazione nei confronti del maestro; ancora in tarda età egli riconosce che Platone è un uomo che i malvagi non possono neppure avere l’ardire di elogiare, aggiungendo, non pago, che sarebbe simile a un dio.

Tuttavia, era inevitabile che, a lungo andare, un ingegno così dotato giungesse a elaborare una posizione filosofica autonoma, dissentendo su molte cose dall’insegnamento del vecchio Platone; e questi è il primo a riconoscerlo con un tono quasi rassegnato: “Aristotele ha tirato calci contro di me come fa un giovane puledro contro la propria madre”.

Ma è solo dopo la morte di Platone, quando al posto di Aristotele viene nominato capo dell’Accademia un altro filosofo, molto meno famoso, che il dissidio diviene manifesto. Profondamente irritato, Aristotele lascia Atene, trovando rifugio presso un principe dell’Asia Minore, che aveva a cuore la filosofia platonica tanto da mantenere un contegno filosofico anche di fronte alla morte. Quando venne catturato dai Persiani e condannato alla croce, fece infatti riferire ai suoi amici di non aver mai fatto nulla che non fosse degno della filosofia.

Nel frattempo, Aristotele aveva però abbandonato la residenza del principe ed è proprio a questo periodo che risale il secondo incontro significativo della sua vita. Se ad Atene aveva goduto della compagnia del più grande dei filosofi, in Macedonia viene a conoscenza di quello che indubbiamente rappresentava il più grande genio politico e militare del tempo: Alessandro Magno, che allora aveva solo tredici anni. Aristotele ne divenne precettore e, anche se non siamo affatto in grado di valutare quale influenza possa aver avuto l’arte pedagogica del filosofo sullo sviluppo del futuro statista e condottiero, è curioso pensare come il potere e lo spirito abbiano convissuto per alcuni anni nelle loro forme più elevate, il futuro conquistatore del mondo da una parte e l’uomo destinato a dominare il cosmo spirituale dall’altra.

L’incarico assunto da Aristotele non era, però, del tutto privo di pericoli. Il precettore che poi lo sostituì venne infatti arrestato con l’accusa, non si sa se a torto o a ragione, di cospirazione e condotto, in una gabbia di ferro, sporco e pulcioso, a far mostra di sé per tutto il paese, per essere dato alla fine in pasto ai leoni. Le malelingue antiche hanno preso spunto da questo episodio per incolpare lo stesso Aristotele di aver tentato di avvelenare Alessandro. Probabilmente queste voci erano del tutto infondate, ma anche se non lo fossero state, le conseguenze non potevano preoccupare il filosofo che, nel frattempo, aveva abbandonato la vita di corte ed era ritornato nella libera Atene.

Qui raccolse intorno a sé una schiera di allievi, i quali si incontravano in un porticato e discutevano camminando avanti e indietro. Questo comportamento doveva apparire agli occhi degli ateniesi così strano da indurii a coniare per Aristotele e i suoi seguaci l’epiteto di “gironzoloni”. Non è difficile ritrovarne una eco nei manuali di storia della filosofia che definiscono Aristotele e la sua scuola come “Peripatetici”; si tratta certo di un nome più altisonante, ma il significato in fondo non è molto diverso.

Come sempre accade, gli allievi sono attenti soprattutto alle stranezze del maestro, scoprendone di fatto alcune caratteristiche piuttosto curiose. Maligni, come solo gli allievi riescono a essere, essi osservano il loro maestro quando dorme, meravigliandosi della sua usanza di mettere un otre pieno d’olio caldo sullo stomaco. È probabile che Aristotele ne abbia avuto realmente bisogno, se è vera la tradizione secondo la quale sarebbe morto proprio a causa di una malattia intestinale. Ancor più curioso appare agli allievi il metodo cui il maestro ricorre per abbreviare il sonno, così da tornare il prima possibile a un’attiva vita intellettuale. Essi raccontano che, prima di andare a dormire, Aristotele fosse solito prendere in mano una biglia di ferro, e porre vicino al letto una ciotola: il rumore provocato dalla caduta della biglia l’avrebbe sicuramente svegliato, permettendogli di ritornare a occuparsi di filosofia.

La partecipazione degli allievi, però, non si riduce unicamente a questi aneddoti. Aristotele infatti li spinge a collaborare seriamente alle sue ricerche. Nasce così, per la prima volta nella storia del pensiero occidentale, una comunità scientifica organizzata.

Ma questa pace accademica non era destinata a durare a lungo. La morte di Alessandro modificò i rapporti politici anche ad Atene; la città si sottrasse all’influenza dei Macedoni, e chi aveva avuto a che fare con loro venne tacciato di collaborazionismo. Il materiale a carico di Aristotele non permetteva certo di accusarlo in pubblico di crimini politici; per questo motivo furono cercati altri pretesti per poter aver da ridire sul suo conto: lo si accusò di empietà. Aristotele non si sottomise però al giudizio del tribunale e fuggì affermando ironicamente, come narra la leggenda, di voler così impedire agli ateniesi di far nuovamente del male alla filosofia, ripetendo l’errore fatto con Socrate. L’esilio non durò a lungo: Aristotele morì infatti a 63 anni, non senza aver lasciato un testamento dettagliato e previdente che includeva anche gli schiavi e la concubina.

Questa fu dunque la vita del grande Aristotele e c’è da meravigliarsi che, visti i numerosi trasferimenti, le distrazioni dovute alle attività di corte, gli obblighi più diversi legati all’insegnamento, i pericoli e le avversità, sia riuscito a trovare la pace necessaria per dedicarsi ai problemi della filosofia. E tuttavia non c’è filosofo antico che appaia aver lavorato con la stessa assiduità e tranquillità. Incurante di se stesso e del suo destino personale, sapeva dedicarsi anima e corpo alla ricerca. Emblematico è il seguente aneddoto; avendo una volta inteso di una diffamazione nei suoi confronti, commentò: “Quando sono assente, può anche flagellarmi”. Aristotele è il tipo d’uomo che non bada tanto a se stesso, quanto al mondo – da qui il titolo di questo [testo]. Infatti, tutto il suo interesse è rivolto alla realtà nella varietà delle sue manifestazioni. Aristotele indaga gli animali nelle loro forme e comportamenti, i corpi celesti, le costituzioni degli stati, l’arte poetica, la retorica. Ma soprattutto l’uomo: come pensi e agisca, e come debba pensare e agire. E con tutto ciò Aristotele non resta alla superficie della mera erudizione (polymathia): è filosofo fino in fondo, il che significa che indaga l’essenza di ogni cosa, il fondamento, l’origine e lo scopo del reale.

 

WILHELM WEISCHEDEL

In “La filosofia dalla scala di servizio”, Raffaello Cortina Editore

Foto: RETE

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