LETTERE DAL FRONTE – – “…gli dirò che noi siamo trattati come cani”

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L’agiografia patriottica  per anni ha raccontato il soldato della Prima guerra mondiale come il buon fante contadino, rassegnato ed obbediente, pronto a morire per la “patria”.

La realtà era un’altra.

“Le lettere e le cartoline conservate presso il Tribunale supremo mostravano, in modo forse altrettanto univoco, un uomo che alternava alla paura, alla disperazione, all’orrore per la morte che lo circondava, rabbia e ribellione, desideri di vendetta e di fuga”, dice la Procacci nel suo libro “SOLDATI E PRIGIONIERI ITALIANI NELLA GRANDE GUERRA”.

Ecco cosa scriveva un soldato dal fronte

Da Zona di guerra

A Sassuolo (Modena)    (li 10.1.16)

Stimatissimo signore

Mi affretto a scriverci questa mia la quale gli darrò spiegazione della mia vita. Ora senta la civiltà della nostra bella Italia gli dirò che noi siamo trattati come cani, ed in servizio siamo in tutte lore. Quando ripenzo mi si spezza il quore, trovandomi nei pianti e nei dolori, gli dirò che fra gli morti, cioè i nostri frattelli, passeggiamo come passeggiare sopra gli sassi in un fiume, questa è la civiltà che a la nostra Italia.

Gli dirò che qua siamo in mezzo nei disagi ed alle passioni ripenzando alle famiglie nostre care.

Qua riposiamo come le belve alla foresta e del mangiare sidanno poco e niente, qua si troviamo privi di ogni sorte e sofrire siamo noi già stanchi.

Dunque mio buon signore, ora gli debbo tralaziare di farmi la mia pace desisederata perché mi chiamo e ecco in servizio bisogna ritornare.

Qui ammalati non ne conoscono per niente, ammalati è come sani, sempre in servisio, siamo sensa mai avere una piccola oretta di libertà qua tutto e nero e sangue che se lui vedesse la nostra vita come e trattata, non la può giudicare altro chi non la provata.

Dover scrivere alle famiglie cari che si sta bene, bisogna piangere come i bambini alla sua madre, penzare che qua cia laziato la pelle tanti padri di famiglia lasiando le sue molie e figlie nel dolore, lasio giudire a lui che cosa faranno mancando chigli mantiene il pane.

Ora gli dirò che io mi trovo al fronte di cordilana, dove a il macello della carne Umana.

Quante famiglie fra i dolori e pianti, Morto che gli sarà il suo caro guereggiante povere spose e figli tutti quanti. Noi stiamo giornalmente tribulanti, li chi perderà il marito e gli amanti, brutte giornate noi stiamo qui passando, Nel mezzo amaro pianto e le passioni con tanto [furore?] e poi tribulazione. Solo di me spiegato una piccola passione che soltanto e simile di questa vita infame.

Firmandomi rispettoso […].

Saluti ed addio perché di qui non si salva baciandomi tutti i miei cari […]

Fonte: “SOLDATI E PRIGIONIERI ITALIANI NELLA GRANDE GUERRA” di Giovanna Procacci

Nella foto vedete Francesco Laino, nonno di Angelo Nepita

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