La Candelora

Nell’antica Roma un sacrificio espiatorio a Giunone Salvatrice e Madre Regina apriva febbraio, il mese delle purificazioni, il cui nome in latino, Februarius, derivava da februa, che significava letteralmente «mezzi di purificazione». I februa erano o panni di lana con cui si aspergeva il sangue delle vittime sacrificali o focacce di farro tostato con sale, che teneva il littore quando si procedeva alla purificazione di una casa, oppure fronde di un albero puro con cui i sacerdoti si adornavano le tempie o infine qualunque cosa con cui si purificassero i corpi. Da februa derivava oltre a Februarius anche il verbo februare, «purificare».

Il mese delle purificazioni, che nel calendario arcaico attribuito a Remolo era l’ultimo, preludeva alla rifondazione dell’anno nuovo in marzo: per prepararsi al «passaggio» era necessario purificarsi con una serie di riti entrando anche in comunicazione con i parenti morti durante i nove giorni dei Parentalia. All’inizio di febbraio i Celti celebravano a loro volta una festa della luce rinascente che poi è diventata la nostra Candelora.

Per una coincidenza calendariale la Chiesa fissò al 2 febbraio la festa della Presentazione al Tempio del Signore che assunse poi il titolo di Purificazione della Beata Maria per esorcizzare la presenza di Giunone su quei giorni, come testimonia anche il Lunario toscano del 1805: «La mattina si fa la benedizione delle candele che si distribuiscono ai fedeli, la qual funzione fu istituita dalla Chiesa per togliere un antico costume dei Gentili, che in questo giorno in onore della falsa dea Februa con fiaccole accese gridavano correndo per la città, mutando quella superstizione in religione e pietà cristiana».

La benedizione delle candele si svolge ancora oggi in tutte le chiese. In Irpinia le si portano a casa per sistemarle, insieme al rosario, alla testata del letto: secondo la tradizione popolare assicurerebbero protezione contro cataclismi naturali, temporali e fulmini. In Sicilia, invece, la candela che viene benedetta in chiesa si accende soltanto al capezzale del moribondo. A San Nicola da Crissa, in provincia di Catanzaro, la Candelora ha ispirato una processione che rievoca la visita al Tempio della Sacra Famiglia. Per l’occasione il Bambin Gesù è coperto dall’ampia veste battesimale con fasce e cuffietta. La Vergine ha il capo cinto da una ghirlanda di fiori d’arancio e porta in mano una candelina accesa e un bianco fazzoletto a rammentare il suo pianto davanti a Simone. San Giuseppe, oltre al bastone fiorito, porta un canestro con due tortorelle vive. La Sacra Famiglia si reca in processione, insieme con i fedeli, fino alla chiesa parrocchiale, simbolo del Tempio, dove il parroco accetta il dono delle due tortorelle e prende in braccio il Bambino.

La Candelora è una data importante per le previsioni del tempo futuro, come spiegano vari proverbi dove ci si augura che in quel giorno piova o nevichi: «San Paolo chiaro e la Ceriola scura, dell’inverno non si ha più paura»; «Per la Santa Candelora se nevica o se piova dall’inverno siamo fora; ma se è sole o solicello siamo sempre a mezzo inverno»; «Delle cere [le candele] la giornata / ti dimostra la vernata, / se vedrai pioggia minuta / la vernata fia compiuta, / ma se vedi sole chiaro / marzo fia come gennàro». A loro volta i contadini sostengono che «Se per la Candelora il tempo è bello molto più vino avremo che vinello». Un proverbio piemontese afferma invece che «Se l’ors a la Siriola la paia al fa soà, ant l’invern tornòm a antrà», cioè «Se l’orso alla Candelora fa saltare il giaciglio, si rientra nell’inverno». Vuoi dire che, se l’orso si rigira nel giaciglio e poi torna a dormire, il freddo continuerà.

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Da “Lunario”, di A. Cattabiani, Oscar Mondadori.

Un libro che si legge con diletto

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