Ovidio spiega nei Fasti perché da Marte derivi il nome di marzo, Martius in latino. Dopo aver rievocato il mito di Rea Silvia fecondata dal dio e le vicissitudini dei due gemelli sino alla fondazione di Roma, fa dire a Romolo: «Signore delle armi, da cui si crede che io sia nato, e io ne farò fede con molte prove, voglio che da te sia denominato il primo mese».
Sicché l’anno, nel primo calendario romano, cominciava col nome del divino padre di Roma, colui che aveva la funzione di proteggere e definire la comunità. Se oggi marzo è diventato il terzo mese dell’anno, è pur sempre quello in cui comincia il calendario astrologico e cade l’equinozio di primavera. Ma l’arrivo della nuova stagione all’inizio della terza decade non deve illudere perché il freddo è ancora in agguato e persino la neve può far capolino; tuttavia in pianura e in collina non è persistente per cui si dice: «La neve marzolina viene la sera e va via la mattina». Ispirandosi a questo proverbio qualcuno, esasperato dalle cattiverie della propria vicina ne coniò un altro: «Tanto durasse la mala vicina quanto dura la neve marzolina».
In ogni modo marzo è un mese capriccioso e imprevedibile tant’è vero che si dice: «Marzo pazzerello, guarda il sole e prendi l’ombrello» oppure «Marzo, sole e guazzo». A chi è un poco lunatico si domanda se è di marzo, perché si crede che i nati di questo mese ne subiscano l’influsso anche nel carattere.
E se marzo non marzeggia sarà aprile a essere particolarmente piovoso: si dice infatti «Marzo, asciutto, aprile bagnato» oppure «Quando marzo aprileggia, aprile matteggia». Appena torna il sereno dopo la pioggia marzolina, che qualche volta ci accompagna per giorni e giorni, sentiamo che la primavera sta arrivando perché il sole ormai comincia a essere caldo.
Ben lo sapeva la saggezza popolare che coniò il proverbio: «Non ci fu marzo così tristo che non mandasse il cane all’ombra». Col primo sole tiepido, inoltre, si svegliano dal letargo molti animali e, quindi, si deve fare attenzione quando si cammina nei prati perché «Marzo, la serpe esce dal balzo».
Fra i detti che riguardano questo mese ve n’è uno che per i cittadini è misterioso: «Far lume a marzo». Allude a un’usanza contadina: negli ultimi giorni di febbraio e nei primi di marzo si accendono nei campi, all’imbrunire, dei grandi fuochi. Si bruciano le erbe secche dell’inverno insieme con i tralci della vite tagliati durante la potatura e divenuti secchi. La cenere servirà a concimare i campi. Ma non si dimentichi che una volta, proprio al primo di marzo, le vestali accendevano il nuovo fuoco nel tempio di Vesta, la dea della terra, per simboleggiare la nascita del nuovo anno.
Alfredo Cattabiani,
Da “LUNARIO”, Oscar Mondadori
…
Ad Orsomarso, nel tempo contadino, circolavano questi proverbi:
Pasca marzatica moriri o famatica.
Si marzu nun marzia u massaru nun pulia (non libera il grano dalla pula)
A niva marzulina dura da sira a matina.
Chi mina marzu!
Quannu marzu s’ingrugna ti fa cari l’ugna.
Marzu marzia, jessiri u soli e ti cavuria.
Marzu marzicchiu, n’ura chioviri e n’ura assulicchia.
A marzo chiove e chiove,
aprile n’ura e cessa
a majo guna bona
ti ghinghiri u vaddunu.
Durassa tantu a mala vucina, quantu durari a niva marzulina!
Quannu marzu u vo fa, u purcu u fa ‘ngrassà; si ni votiri u cappiddu, fa mori u poviriddu.
Altri detti paesani
Diu ti libbra ra fucu, acqua, mali vucini e favuzu tistimoni criminali!
Soliti fani soliti, prucchji fani prucchji e debibiti fani debiti.
Si u ‘mbristà furera bunu si ‘mbristerini i mugghjeri.
COSACUSEDDA
FORA MALIZIA
Mitti, maritu mio, mitti sputazza,
ca si nun ‘ncappisi u bucu,
‘ncappisi a spaccazza!
( Infilare il filo nell’ago)
Foto RETE