SETTEMBRE, i proverbi del mese

Settembre è la traduzione del latino September, che significava settimo mese perché, come si è già spiegato, in epoca arcaica si contavano i mesi dell’anno a partire da marzo. L’antico legame con il sette può aver ispirato alcuni proverbi di previsione meteorologica come «La luna settembrina sette ne trascina», nel senso che dal tempo di questo mese si può arguire quello dei sette successivi.

Domiziano, seguendo l’esempio di Giulio Cesare e di Augusto, volle ribattezzare settembre col nome di Germanico, figlio adottivo di Tiberio, e ottobre col proprio. Ma dopo il suo assassinio «si decise di cancellare da ogni bronzo o pietra» scrive Macrobio «il nome infausto, e anche a questi mesi fu abolita la denominazione imposta dal tiranno. In seguito gli altri principi usarono grande cautela per evitare il cattivo augurio del presagio funesto, e così i mesi da settembre a dicembre conservarono i loro antichi nomi».

Settembre trascolora dall’estate all’autunno, placido e quieto in genere nella prima quindicina, spesso turbolento nei giorni equinoziali. Astronomicamente è ancora estate fino all’equinozio, ma già il sole tramonta presto e si leva tardi, tant’è vero che un proverbio dice: «Settembre, la notte al dì contende». All’equinozio notte e giorno si equivalgono, come osserva un altro proverbio ricordando che «A San Mattìe tanta la notte e tante le die»: San Matteo è il 21, considerato nella tradizione popolare l’equinozio d’autunno che, invece, cade generalmente due giorni più tardi.

Via via che ci inoltriamo nel mese il caldo diminuisce finché alla fine, con le prime piogge autunnali, se ne va definitivamente. «Per San Michele» dicono i contadini il 29 settembre «il caldo va in cielo.» San Michele sarebbe anche un giorno adatto per le previsioni meteorologiche perché si sostiene che «Se San Michele si bagna le ali, piove fino a Natale».

Se il caldo è destinato a scomparire, arrivano invece i frutti più dolci dell’anno, dall’uva ai fichi ai cachi: perciò si dice che «Per San Michele ogni straccio sa di miele». I buongustai mangeranno proprio in questo periodo il luccio, come raccomanda il proverbio: «Tinca di maggio e luccio di settembre». E i cacciatori diranno: «Settembre e ottobre, buone lepri col savore».

Settembre è anche tempo di vendemmia, ma bisogna prestare attenzione perché «Chi vendemmia troppo presto svina debol e tutto agresto», ottiene cioè un vino acidulo. In ogni modo, consigliano i veneti, «Lassa in setembre, se si pol, l’ua nera a far l’amore col sol». Conviene infatti vendemmiare prima la bianca: «De setembre prima la bianca che di pendere la xe stanca».

Ma prima di vendemmiare si raccolgano le noci: «Per Santa Croce una pertica per noce» si dice, infatti, al 15 settembre ricordando che si staccano le noci scuotendo i rami con una pertica. E le si mangino fresche fresche con un po’ di pane perché «Noci e pane, pasto da sovrane». A partire dal 15 si possono raccogliere anche le castagne, secondo il proverbio che ricorda come esse siano «A mezzo agosto animate e a mezzo settembre vergolate»; ovvero cominciano a maturare ad agosto per essere poi vergolate, battute con la pertica, dalla metà di settembre in poi.

 

Alfredo Cattabiani

Da LUNARIO,  Oscar Mondadori

 

Ad Orsomarso in settembre (che alcuni chiamavano “capattimbu”) circolavano questi proverbi:

 

I bagni sittimbrini fani passà u mali ri rina.

A hjocca sittimbrina sa nechir’a lavina.

Sittimbri sparta ‘mminzu (Divide a metà il giorno e la notte).

A sittimbri ‘nta campagna su maturi nuci e castagna.

Sittimbri cavuru e asciuttu fa maturari ogni fruttu.

Agustu cucina, sittimbri minestra.

Altri detti

I parenti su comi i scarpe: chiù su stritti chiù ti fani mali.

Cu nun tena né casa né urtu è comi ‘n ummunu murtu.

A carna j’è tosta e u curtiddu nun tagghja.

Si boi sapì a virità ra ‘mbriachi e da quatrari.

Cu quatrari ti mittisi? E pisciato ti trovisi.

Senza soldi nun si canta missa.

I rinari fani vinì a vista i cicati.

Saccu vacantu nun si rejiri all’erta.

Cosecusedde

Nun tena peri e camina

Nun tena bucca e parla.

(La lettera)

 

A navi mia j’è fatta ri tela,

Cu bintu e senza vintu sempi vola.

Quiddu chi c’è raintra chiangia e grira,

Quiddu chi j’è rafora canta e sona.

(La culla)

Credenze popolari

Sedersi a tavola in tredici porta male, perché uno tra questi potrebbe morire.

Non si sbatte la tovaglia da tavola dopo il tramonto.

Foto: RETE

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