LA CALABRIA PRIMA DELLA GRANDE GUERRA

[…] Il messaggio di guerra che parte dalla capitale si irradia in maniera capillare sino alle più estreme periferie e arriva con forza anche in Calabria.

Alla vigilia del conflitto la regione, martoriata da gravissimi sismi i cui effetti continuavano a farsi sentire e depauperata delle sue energie migliori a causa della Grande emigrazione, conta circa un milione e mezzo di residenti, per lo più contadini poveri, braccianti, operai e piccoli artigiani. La loro condizione socioculturale è in assoluto tra le peggiori del Paese; nonostante l’indice di analfabetismo si sia abbassato rispetto alla fine dell’Ottocento, resta comunque così alto – in particolare nel reggino – da mantenere la Calabria ai vertici della classifica nazionale, dato che si accompagna a un ritardo economico e produttivo pesantissimo. Una regione arretrata, la più marginale tra quelle meridionali, in cui il sistema politico si regge, tranne rare eccezioni, su meccanismi clientelari e l’economia si basa su un’agricoltura di tipo latifondistico che reitera sistemi produttivi e rapporti sociali ormai anacronistici. Inoltre, per la stragrande maggioranza dei calabresi, lo Stato, specie dopo la dura repressione del brigantaggio, rimane un concetto astratto e comunque assente, quando non ostile.

E tuttavia l’introduzione del suffragio universale maschile, che per la prima volta concede il diritto di voto anche a coloro che ne erano stati sempre esclusi, comincia a produrre dei cambiamenti. Con tutti i limiti derivanti dall’assenza pressoché totale di organizzazioni politiche e sindacali in grado di mobilitare la grande maggioranza della popolazione, le elezioni del 1913 rappresentano un momento di confronto e di scelta, che, sebbene viziato da pressioni padronali e impulsi individualistici, innesca un confuso processo di rinnovamento portato avanti da alcuni gruppi sociali e in particolare dagli studenti, tra i quali cominciano ad attecchire il dannunzianesimo e gli stimoli della cultura futurista. Il dibattito sulla opportunità o meno del conflitto è portato avanti soprattutto da loro.

Come accade nel resto d’Italia, anche in Calabria la contrapposizione tra interventisti e neutralisti è molto forte e con profonde differenze di posizione all’interno dei due campi. Il fronte interventista, estremamente variegato, ha come denominatore comune l’antigiolittismo, che è ormai diventato sinonimo di inefficienza, clientelismo e corruzione. Non di poco conto è poi l’influenza esercitata su molti giovani socialisti dalla repentina scelta interventista di Mussolini, annunciata e motivata – anche questa – attraverso i giornali. In meno di quattro mesi, il futuro duce passa dall’articolo “Abbasso la guerra”, pubblicato sull’«Avanti!» il 26 luglio 1914, a quello in cui annuncia, dalle colonne de «II popolo d’Italia»: «II grido è una parola che non avrei mai pronunciato in tempi normali, e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!».

Sebbene rappresentino una minoranza abbastanza esigua, anche a livello di rappresentanza politica, gli interventisti calabresi sono però più attivi, visibili ed efficaci dei loro avversari, come dimostra, ad esempio, la sollecita creazione a Catanzaro di un comitato interventista ad opera del socialista Nicola Lombardi, mentre sulla stessa lunghezza d’onda si muovono Francesco Arca, Luigi Saraceni e Nicola Serra, che godono politicamente di un certo seguito.

La potenza del messaggio bellicista contagia ben presto anche i moderati e gli indecisi. Il governo monitora costantemente, grazie alle autorità di pubblica sicurezza, la consistenza e la qualità dei suoi oppositori, sia reali che presunti e comunque sorveglia costantemente tutti coloro che sono sospettati di atteggiamenti antinazionali. In quel particolare frangente, è potenzialmente antinazionale chi non vuole la guerra.

Tra i calabresi sorvegliati per motivi politici, coloro che dichiarano pubblicamente la loro avversione alla partecipazione al conflitto sono pochi. Molto più numerosi gli interventisti, tra i quali si annoverano una buona parte di socialisti (quelli definiti “non ufficiali”, contrari alla formula del «né aderire, né sabotare» e convinti che la guerra avrebbe spalancato le porte alla rivoluzione), gli anarchici (che sperano nella distruzione dello Stato) e un discreto numero di coloro che successivamente le autorità di polizia schederanno come comunisti e come antifascisti. A combattere per la loro patria lontana, inoltre, accorrono dall’estero, anche come volontari, diversi emigrati calabresi. Sono per lo più socialisti e anarchici che vivono da anni in Sud America, negli Stati Uniti e in Africa. Alcuni vengono decorati con medaglie al valore militare, altri perdono la vita sul campo o in seguito a ferite riportate in battaglia o in trincea; dopo avere combattuto, spesso in prima linea, quasi tutti scelgono di tornare nel loro paese di adozione.

Il sostegno alla guerra, dunque, proviene in buona parte dalle forze e dagli uomini della sinistra. Del resto, persino la Camera del Lavoro di Cosenza, che aveva fortemente osteggiato la spedizione italiana in Libia denunciandone il carattere imperialista e antioperaio, dopo un primo approccio pacifista al tema della guerra europea aveva cambiato radicalmente opinione dopo l’agosto del 1914, quando la Germania aveva attaccato il Belgio e la Francia: combattere dalla parte dell’ Intesa era divenuta allora una «necessità storica» dei popoli civili e democratici contro l’autoritarismo fondato sulla forza delle armi. L’atteggiamento della chiesa calabrese – se si esclude la decisa scelta neutralista di don Carlo De Cardona e poche altre voci isolate – è generalmente ambiguo, oscillante tra il plauso alle encicliche papali e gli appelli al patriottismo e al nazionalismo di alcuni vescovi, atteggiamento che contribuisce ad aumentare la confusione dei fedeli. Molti giornali cattolici si dichiarano a favore della guerra, sebbene con sfumature e in tempi diversi, mentre i dirigenti dell'”Unione popolare”, in ossequio alle direttive del governo, si attivano per organizzare i comitati di mobilitazione. […]

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Di Katia Massara

Da “LA GUERRA, LA CALABRIA, I CALABRESI” – I quderni di Rogerius, Rubbettino

Foto: RETE

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