In Calabria il mondo dell’istruzione naviga a vista senza un timoniere

«Se il padrone conosce mille parole e tu solo cento, sei destinato a restare servo», diceva in maniera populistica eppure allo stesso tempo eretica don Milani per sottolineare l’importanza della scuola. Ma se il prete di Barbiana aveva ragione – e probabilmente l’aveva – allora una intera generazione di studenti calabresi sembra destinata alla subalternità sociale.

A raccontare la facile previsione sono i dati prodotti dall’Invalsi, ente auto generato dalla scuola italiana per conoscere e valutare il grado di competenze raggiunte dagli studenti del nostro Paese.
Nelle classifiche prodotte dai test cui gli studenti vengono da tempo sottoposti, la Calabria occupa stabilmente gli ultimi posti e i dati del 2021 non promettono miglioramenti. Siamo in fondo alla classifica per quanto riguarda la conoscenza dell’italiano, le competenze scientifiche, la padronanza delle lingue straniere.

E qui torna, aggiornata ai tempi moderni, la profezia di don Milani: conoscere significa capire e governare il mondo che ci circonda, vuol dire consapevolezza e capacità di scegliere e decidere da persone libere, costruire opportunità di riscatto per tutti, non solo per se stessi, perché il sapere libera dal bisogno. Al contrario, non acquisire quelle capacità, significa rassegnarsi ad un ruolo di subalternità, dove qualcun altro sceglie e decide quasi ogni cosa, perfino per chi votare.

La Caporetto della scuola calabrese

Ma dove cercare le responsabilità, o almeno le ragioni della Caporetto della scuola calabrese? «L’errore più ricorrente è quello di considerare i dati Invalsi come una valutazione degli insegnanti, invece i test nascono con uno scopo più ampio: tenere conto dei molti attori coinvolti nel processo educativo-formativo, e della mutevolezza delle realtà sociali», spiega Sabina Licursi, docente dell’Unical, sociologa ed esperta di politiche sociali ed educative.

È certamente come avverte la docente, tuttavia la sensazione diffusa è diversa e la scuola calabrese vive male i test. «Il test è solo un metodo, che ha anche parecchi limiti – continua Licursi – ma i risultati vanno interpretati tenendo conto dei diversi contesti». Una situazione che spinge Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl scuola, a dire «che le ragioni di criticità emerse in Calabria sono il riflesso di una debolezza di contesto per la quale non a caso si invocano da anni politiche di maggior attenzione e di più efficace investimento».

Lo scopo dunque dovrebbe essere individuare le radici dei deficit nei risultati e una volta compiuto questo lavoro, «apportare quegli interventi necessari, estendere il tempo pieno, canalizzare risorse, mettere in connessione i cicli formativi – aggiunge ancora Licursi – ma tutto questo significa far diventare la scuola calabrese un tema politico».

Alla deriva senza timonieri

Ed eccoci al cuore della questione: c’è uno scarto tra il mondo delle promesse e quello spietato della realtà, in cui nulla davvero cambia. Per avere la misura della situazione della scuola in Calabria, basti pensare che da molto tempo ormai essa è acefala. Manca una direzione regionale, dopo la tragedia di Giovanna Boda, dirigente del Ministero mandata in Calabria a sostituire Maria Rita Calvosa perché indagata per uno scandalo di mercimonio di titoli scolastici. La Boda, appena saputo di essere pure lei indagata, per altre ma non diverse ragioni, ha tentato il suicidio.

Di fatto oggi al timone della scuola calabrese non c’è nessuno e non pare che la cosa interessi qualcuno. «Il fatto è che noi non abbiamo alcun peso politico – spiega Massimo Ciglio, dirigente scolastico cosentino – il destino della scuola calabrese non è tra le priorità, come del resto non lo è nemmeno quello politico». Insomma, la Calabria non è nei radar dello Stato. Né per la sanità e ancor meno per la scuola, un destino di marginalità che abbraccia ogni aspetto del vivere sociale. E, come aggiunge ancora Maddalena Gissi, «prima ancora che di risorse, la scuola dovrebbe essere oggetto di un investimento morale da parte della comunità in cui agisce».

La scuola bipolare e l’Invalsi

Restando all’Invalsi, Ciglio spiega che nella scuola italiana c’è una sorta di bipolarismo. Infatti, tutte le indicazioni nazionali in fatto di apprendimento valorizzano forme di sapere complesso, non misurabile con l’aridità di un test come quelli Invalsi. Che è come dire che insegniamo a studiare in un modo e poi misuriamo quello studio nel modo opposto.

Resta il problema della qualità dei docenti calabresi, dei quali si deve capire quanto è forte la vocazione ad insegnare. «Come matura questa scelta professionale? Perché è chiaro che, sia pure dopo molti anni di faticoso precariato, alla fine i docenti approdano a un lavoro stabile», dice Licursi. Il sospetto è che non tutti i prof, ma non solo quelli calabresi, siano in cattedra non proprio per scelta.

Docenti senza motivazioni

Viene in mente Lévi-Strauss, secondo cui dopo aver superato il concorso per la docenza «volendo ci si poteva riposare definitivamente». L’antropologo si burlava dei prof francesi degli anni ’50, ma oggi non sembra che le cose siano diverse.
«C’è sicuramente una certa pigrizia intellettuale – racconta il preside Ciglio – e per strappare i docenti a questo destino servono idee, risorse e bellezza». Quella che manca quasi sempre nelle nostre scuole, casermoni concepiti per una didattica ampiamente superata, fatta per compartimenti stagni. Oggi, però, la parola magica è connessione.

Sullo stesso tema, quello della motivazione dei docenti, la professoressa Licursi sottolinea come il mestiere di docente non sia limitato alla trasmissione di saperi, ma soprattutto implichi la capacità di costruire relazioni.

Gli ispettori a scuola

C’è poi il problema dei corsi di aggiornamento, croce e tormento di eserciti di insegnanti. La prassi è stata a lungo la seguente: li si convocava con un ordine di servizio piuttosto vago che sembrava far riferimento ad un non preciso obbligo; li si riuniva in una sala ampia (prima della pandemia, ovviamente); li si costringeva ad ascoltare relazioni i cui contenuti restavano alieni, recitati da ispettori ministeriali potenti e perciò temuti.

Attorno a queste pratiche inutili e mortificanti, gira un bel po’ di denaro e certe volte si è scivolati nell’imbarazzo. Come quando insistentemente si è chiamato a spiegare come fare bene il lavoro di docente, un potentissimo ispettore, finito poi a Poggio Reale per accuse piuttosto gravi e tutt’ora ai domiciliari.
Eppure per fare bene il mestiere di docente basterebbe poche cose, tra cui capire cosa vogliono i ragazzi in una età in cui non riescono ad immaginare il loro futuro.

Quale futuro per la scuola?

Cosa può fare la scuola? Occuparsi di cose reali, uscire dalle aule, entrare nei mutamenti sociali e preparare gli studenti alla complessità. Ma soprattutto strappare i docenti al destino che li vuole sempre sospesi tra l’ignavia e l’eroismo, riconoscendo il loro ruolo. È ancora la sociologa Licursi a raccontare come in una ricerca finalizzata al contrasto delle povertà educative che ha osservato studenti dai 14 ai 17 anni, da Pordenone fino a Trebisacce, sia emersa la necessità sentita diffusamente dai giovani di capire il mondo attorno a loro, immergendosi nella realtà.

Intanto, lontano anni luce da tutto ciò esiste un mondo che si chiama Burc, dove nel gennaio 2021 chi governa la Regione scrive la lista delle buone intenzioni. Preso atto dei risultati degli Invalsi, nella Cittadella hanno deciso che «dare la priorità all’innalzamento delle competenze di base richiede di intervenire a favore di alcuni target», come gli studenti provenienti da contesti svantaggiati. E di «qualificare, modernizzare e rendere più inclusivi i sistemi di istruzione e formazione attraverso azioni di formazione e riqualificazione del personale e dei docenti». Ma anche di «rendere le scuole più sicure, efficienti, accessibili, ma anche attrattive e innovative attraverso interventi di mitigazione del rischio sismico degli edifici scolastici».
Alla fine spezzeremo le reni all’Invalsi. Forse.

Di Michele Giacomoantonio

FONTE: https://icalabresi.it/fatti/scuola-alla-deriva-oltre-linvalsi-ce-di-piu/

FOTO: Rete

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