Un libro per amico – L’AMBIGUO MALANNO

 

 

 

È una lunga storia, quella di questo libro. Nato nell’ormai lontano 1981, è stato il primo, tra i miei libri, pubblicato da una casa editrice non universitaria. Di alcuni dei problemi in esso trattati (quelli più strettamente giuridici, come l’organizzazione della famiglia, il matrimonio, la repressione dell’adulterio) mi ero occupata in pubblicazioni specializzate, dedicate solo agli accademici. Ma oltre che come storica, in quegli anni i temi legati alla condizione femminile mi appassionavano anche in un’altra veste: quella di donna, una delle tante donne che, allora, vivevano con entusiasmo e speranza il diffondersi del movimento femminista. E, come tale, ero coinvolta in particolare (occupandomi per mestiere di storia del diritto) nel dibattito allora in corso sulla necessità di alcune fondamentali riforme legislative.

Alcune tra le maggiori ingiustizie di cui le donne sono state vittime per secoli erano state da poco cancellate: basterà ricordare che solo da pochi anni (più esattamente, solo dal 1969) era stato abrogato l’art. 559 del codice penale che puniva l’adulterio come reato. Beninteso, solo se commesso dalla moglie. Il marito infatti, in forza del successivo art. 560, veniva punito solo se teneva una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove.

Innovazioni fondamentali erano state introdotte dal nuovo codice di famiglia, nel 1975. Per limitarci ad alcuni esempi: la potestà sui figli, sino a quell’anno solo “patria”, era diventata genitoriale, e dunque, finalmente, spettava anche alla madre; la moglie non era più obbligata a seguire il marito ovunque questi decidesse di fissare la propria residenza; mentre prima assumeva il cognome del marito, ora lo aggiungeva al proprio… Cose che oggi sembrano scontate, ma allora non lo erano affatto. Ma rimanevano, nei nostri codici, regole inaccettabili, che si faticava a capire perché si tardasse tanto ad abrogare.

Mi limito ad alcuni esempi: fino al 1996, il nostro codice penale, regolando il delitto di “ratto”, ne prevedeva due tipi, puniti con pena diversa a seconda che il ratto fosse “a fine di matrimonio” o “a fine di libidine”. Nel primo caso, l’art. 522 stabiliva che “chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di matrimonio, una donna non coniugata, è punito con la reclusione da uno a tre anni”. Il successivo art. 523, invece, stabiliva che “chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di libidine, una donna maggiore di età, è punito con la reclusione da tre a cinque anni”.

L’atteggiamento soggettivo e i sentimenti della vittima erano del tutto indifferenti ai fini della determinazione della pena. Se il rapitore, bontà sua, aveva intenzioni matrimoniali, anche qualora la donna non le condividesse, la pena era inferiore a quella che avrebbe meritato se l’avesse rapita “a fine di libidine”. Per tacere del fatto che, sempre ai sensi dell’art. 523, la pena per questo secondo tipo di ratto era aumentata se la donna che ne era stata vittima era coniugata. Ogni commento è superfluo.

Non meno inquietanti le regole in materia di violenza sessuale, che sino al 1996 era considerata un “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume”, e solo in quell’anno venne rubricata come “lesione della libertà personale”. Come se questo non bastasse, perché si realizzassero gli estremi di questo delitto, era necessario che la violenza si traducesse in “congiunzione carnale” (art. 519). In mancanza, indipendentemente dalla gravita della violenza e dalle sue conseguenze fisiche e psicologiche sulla vittima, il comportamento delittuoso realizzava gli estremi del reato definito “atti di libidine violenta” e punito con la pena per la violenza, ma diminuita di un terzo (art. 521).

Per finire, come dimenticare la celebre “causa d’onore”?

Fino al 1981, anno in cui venne finalmente abrogato, l’art. 587 del codice penale stabiliva che chi uccideva per questa causa “nell’atto in cui scopriva la illegittima relazione carnale del coniuge, della figlia o della sorella, e nello stato d’ira determinato dall’offesa all’onor suo e della sua famiglia” non veniva punito come omicida, vale a dire con la reclusione non inferiore a ventun anni o in presenza di aggravante per futili motivi fino all’ergastolo. La pena andava dai tre ai sette anni. Inutile dire che anche se l’art. 587 parlava di “coniuge” (e quindi, teoricamente, anche la moglie che avesse ucciso il marito infedele avrebbe potuto beneficiare della causa d’onore), le vittime di questo reato erano di regola le donne: mogli, in primo luogo, ma anche figlie e sorelle.

Gli esempi potrebbero continuare, se passassimo alle discriminazioni, non meno gravi, presenti in altri settori, quali ad esempio il diritto del lavoro. Ma credo che quelli che precedono siano sufficienti a dare un’idea dello sconcerto da cui si veniva presi, in quegli anni, di fronte alle difficoltà e dell’ostilità con cui si scontravano i tentativi di modificare la mentalità di chi continuava a ritenere giustificate quelle regole. Per quanto mi riguardava – da storica – la spiegazione stava nel passato, vale a dire nella remota antichità delle radici di quel modo di pensare i rapporti tra sessi.

Fu questo il motivo che mi spinse, allora, a pubblicare un libro dedicato alla storia della condizione femminile che fosse accessibile non solo agli addetti ai lavori. Ripercorrere la storia delle discriminazioni, pensavo, poteva aiutare un pubblico più vasto a capire il presente. E il successo che il libro ebbe mi fece pensare di aver colto nel segno: tradotto in varie lingue, dall’inglese al francese allo spagnolo, è stato e continua a essere adottato o consigliato nelle scuole e nelle università non solo italiane da molti colleghi, ai quali va tutta la mia gratitudine. Sono gli anni della scuola e dello studio quelli nei quali ci si forma a questi problemi e si consolida il modo di concepire i ruoli di genere.

Eva Cantarella

Dalla “Prefazione”

In breve:

  • Editore ‏ : ‎ Feltrinelli; 4° edizione (1 ottobre 2013)
  • Autore ‏ : ‎ Eva Cantarella
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 272 pagine
  • Prezzo: 11 euro

 

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