SCUOLA: é impossibile istruire senza identità e riconoscimento

 

Howard Gardner ci mette in guardia da questa falsa persuasione, perché è impossibile istruire se prima non si è provveduto alla costruzione di un’identità, non ci si è inseriti nei meandri del desiderio, non si sono fatti i conti con i problemi connessi alla frustrazione e alla rimozione, che sono le dinamiche abituali in ciascuno di noi e particolarmente accentuate nell’adolescente.

L’identità, infatti, non si costruisce per il semplice fatto che ci siamo e che ogni volta che parliamo diciamo “io”. L’identità si costruisce a partire dal riconoscimento dell’altro. Se il riconoscimento manca, come manca sempre a chi va male a scuola, l’identità, che è un bisogno assoluto per ciascuno di noi, si costruisce altrove, in tutti quei luoghi, scuola esclusa, dove è possibile ottenere riconoscimenti. Se poi fuori dalla scuola e dalla famiglia resta solo la strada, sarà la strada a fornire quei riconoscimenti ai livelli in cui la strada li può concedere. Sesso e droga cominciano ad apparire come forme esasperate di riconoscimento, perché forme più adeguate non sono state offerte.

L’adolescenza, come ognuno sa, è promossa dal desiderio che, proprio in quel periodo della vita, ha la sua massima espressione. Adolescenze non desideranti annunciano esistenze mancate, ma il desiderio è spesso in conflitto con la realtà che non è costruita apposta per soddisfare desideri. Qui sono possibili due atteggiamenti. O la rimozione della realtà con conseguente rifugio in un mondo sognato ad essa alternativo, o la frustratone che, reiterata, annulla l’identità.

Il processo di rimozione, molto frequente e pericoloso, e noto ai professori come “distrazione”: “Suo figlio è sempre distratto”. Quasi bastasse un richiamo per fargli accettare la realtà che si oppone alla forza del desiderio, e fargli dimenticare il sogno senza il quale il desiderio esploderebbe in modo incontrollato nella realtà, come ben descrive Aristotele nella sua Poetica. Va da sé che se la distrazione è una cosa seria, se il sogno diurno rivela l’incapacità di affrontare il reale, i sogni promossi dalla droga e dal sesso non fanno fatica a essere accolti da chi, per riconoscimenti mancati, non è stato accettato e inserito nella realtà in cui si trova a vivere, al punto di doverne inventare una sognante per poter continuare in qualche modo a esistere.

In questo scontro fra realtà e desiderio in cui si dibatte l’adolescenza può scattare la frustrazione, che è utilissima per crescere, ma che, come tutte le medicine efficaci, va dosata. Un eccesso di frustrazione – come nel caso di voti troppo bassi distribuiti in nome dell’oggettività delle prove, senza il minimo sospetto che dietro le prove c’è qualcuno che ci prova e che si mette alla prova – sposta altrove la ricerca di riconoscimento senza il quale non si costruisce alcuna identità e quindi non si può vivere. Questo spostamento, questa di-versione è nota agli adolescenti come “divertimento”. “Suo figlio pensa solo a divertirsi,” dice il professore che neppure sospetta che nel divertimento non c’è la gioia, ma solo la di-versione.

I giovani cercano i divertimenti perché non sanno gioire. Ma la gioia è innanzitutto gioia di sé, quindi identità riconosciuta, realtà accettata, frustrazione superata, rimozione ridotta al minimo.

Che fa la scuola per tutto questo?

La scuola svolge programmi ministeriali, perché ritiene che il suo compito non sia propriamente quello di educare, ma unicamente quello di istruire, essendo l’educazione, nella falsa coscienza dei professori, un derivato necessario dell’istruzione. Ma le cose non stanno propriamente così. È se mai l’istruzione un evento possibile a educazione avvenuta. E l’educazione non è fatta solo di buone maniere, ma è una lenta acquisizione, attraverso riconoscimenti, della gioia di sé.

Anche i topi da laboratorio alla fine non si muovono se, dopo aver percorso in tutti i modi il labirinto, non trovano il formaggio. Gli adolescenti, perché non sono topi, si muovono ancora, ma non nel chiuso della gabbia scolastica, bensì fuori, nella strada, dove non sempre, ma talvolta c’è aria malsana. A scuola restano i problemi, ma le vittime di questi problemi sono già lontane, fuori dalla scuola, con buona pace di chi pensa, e sono i più, che per educare basta istruire.

 

UMBERTO GALIMBERTI

Da “L’ospite inquietante”, di U. Galimberti  –  Feltrinelli

Foto: Rete

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