Domande sul POTERE

Del potere si dice che è una cosa buona, o pessima, che rafforza o logora (o che magari, come si è notato cinicamente, logora solo chi non ce l’ha). Ma che cosa significa davvero possedere un potere? E in che modo il potere si raccorda allo Stato, questa ingombrante ma imprescindibile istituzione […]? Le manifestazioni del potere sono molteplici, questo lo si capisce intuitivamente, e con molte più articolazioni di quante non ne lasci supporre la tripartizione di Weber (tradizionale, carismatico e legale-burocratico). […]

Il palazzo di Cnosso, il labirinto delle sue stanze e dei suoi magazzini, il Minotauro sono simboli di un potere arcaico, certo paternalistico, ma palesemente lontano e inaccessibile. E la prima forma del potere, che viene dall’antico, ossia la sovranità, la cui rappresentazione mitica risuona ancora nel breve apologo del Messaggio dell’imperatore di Kafka. Sebbene questo potere richiami alla mente costruzioni e istituzioni antiche come le piramidi, i mausolei romani e la muraglia cinese, la vera età del potere assoluto è la modernità, quando si emancipa dalla morale (in Machiavelli), avocando a sé il monopolio dell’uso legittimo della forza, nel quadro di un’antropologia fortemente negativa (in Hobbes), e teorizzandosi come assoluto (in Bodin, per il quale «II principe o il duca […] che ha il potere di dare la legge ai suoi sudditi collettivamente e come singoli, non è sovrano se a sua volta la riceve da un superiore o da un uguale (anche uguale, perché chi ha un compagno ha un padrone)». E in quest’epoca che il potere trova il suo ambito di esercizio naturale nello Stato, il Commonwealth, la forza comune che nel frontespizio del Leviatano di Hobbes si manifesta come un enorme sovrano incoronato, che porta la spada e lo scettro, e il cui corpo è composto da una moltitudine di altri corpi.

L’attacco portato al potere assoluto, a «lo Stato sono io» dalla rivoluzione francese avvia una nuova epoca. All’età della sovranità fa seguito l’età della potenza. Da una parte, certo, abbiamo la reazione, il progetto del ritorno a un potere tradizionale, scosso dalla modernità, […]. Dall’altra, tuttavia, si manifesta il progetto di un contropotere emancipativo il cui scopo è la fine dello Stato e la scomparsa delle classi, come nei movimenti socialisti e comunisti, oppure che assume una dimensione anarchica ed esplosiva: potenza che vuole se stessa e nient’altro, come nella versione di Nietzsche, che teorizza un’immagine iperconflittuale dell’universo, una lotta di tutti contro tutti, anche a scapito della propria vita. Questa è una visione apocalittica del potere, che sembra addirsi soprattutto a catastrofi nibelungiche come quelle che hanno segnato i conflitti del Novecento. In fondo, quando in un impressionante discorso del febbraio del 1943 Joseph Goebbels, all’indomani della sconfitta di Stalingrado, chiede al popolo radunato nel Palazzo dello Sport di Berlino «volete una guerra totale, così totale che non potreste nemmeno immaginare oggi quanto totale essa sarà?» non è accolto dalla costernazione o dal silenzio, bensì da un plauso fanatico. Parte dell’entusiasmo poteva essere spiegata dall’uso politico della comunicazione di massa, di cui il postmoderno ha amplificato le ramificazioni. Nel postmoderno il potere si presenta come una trasparenza ingannevole, in cui può sorgere l’illusione che gli arcani del potere siano alla luce del sole, mentre lo sono soltanto i comportamenti individuali di una politica spettacolarizzata e screditata, […]. Non si è avuto il superamento dello Stato da parte del comunismo, come suggeriva Gramsci, e quello che piuttosto è accaduto è stato il superamento dello Stato da parte del capitalismo.

L’interprete più acuto del potere nell’età postmoderna è stato Michel Foucault, che l’ha inteso come una struttura microfìsica. Il potere non è qualcosa di compatto, di centrale, come un re dell’ancien regime. È piuttosto qualcosa di diffuso, in cui signoria e servitù si mescolano in un modo inestricabile. Si tratta di una astruseria filosofica? Non si direbbe. Basti pensare al nostro telefonino: è un docile apparato al nostro servizio e in nostro potere, ma insieme ci comanda imperiosamente, imponendoci letture, risposte, responsabilità, mettendoci il mondo in mano e insieme mettendoci in mano al mondo. Quali sono dunque le caratteristiche del potere microfisico? Non certo la fine delle ideologie, perché la realtà della politica postmoderna è diametralmente opposta. La politica si complica nel momento in cui il potere si articola, si ramifica, ed è così diffusa da risultare ingovernabile persino per l’ultima superpotenza residua. Lo stesso vale per la crisi delle ideologie e per il riflusso, che ha inaugurato l’epoca più ideologica della storia. Non è affatto vero che ci troviamo in un mondo “postpolitico”. In secondo luogo, la politica postmoderna ha introiettato l’agonalità, il rifiuto delle mediazioni che risale al radicalismo nietzschiano riattualizzato nel nostro secolo tanto a destra quanto a sinistra, dando fiato all’anemia delle individualità che esaspera il conflitto[…]. Il rifiuto e il discredito della forma partitica si è trasformato in un rifiuto della dialettica come arte della mediazione, nella costruzione sistematica del nemico, nella concezione della politica come guerra. Il terzo carattere della microfìsica del potere postmoderna riguarda la sinistra, che nell’arco di un quarantennio ha visto, in successione, la propria affermazione culturale sull’onda della ribellione giovanile, e poi il crollo del socialismo reale. In questa trasformazione, l’effetto più significativo è che stili comunicativi di sinistra (vincenti sotto il profilo culturale) hanno veicolato contenuti di destra (vincenti sotto il profilo politico), e come risultato si è avuto il neoconservatorismo.

Il fenomeno non è nuovo. Come abbiamo visto parlando di Donoso Cortes, dopo la catastrofe di Napoleone, de Maistre ha saputo usare la lingua di Voltaire per riaffermare la legittimità di trono e altare e la necessità di una “dolce catena” che stringesse gli uomini distogliendoli dagli eccessi della libertà. E in questa sfera che si manifesta ciò che Foucault ha chiamato “governamentalità”, l’arte del governare che mediante «istituzioni, procedure, analisi, riflessioni, calcoli e tattiche » esercita il «governo dei viventi». Qui veniamo a un’altra determinazione del potere postmoderno su cui ha riflettuto Foucault e più recentemente Roberto Esposito, vale a dire la biopolitica. Proprio nella misura in cui entra nelle pieghe più infime della vita delle persone, il potere postmoderno recupera, dall’arcaico, la dimensione sovrana del potere di vita o di morte […] e – come nell’epoca ottocentesca della potenza – fa venir meno la differenza tra violenza e potere su cui insiste Hannah […].

Nella biopolitica, il postmoderno e l’arcaico si congiungono. A ben vedere, è proprio nelle primissime forme di potere che la natura biopolitica dell’autorità si manifesta allo stato puro. Il re era anzitutto chi controllava i depositi dei beni, basti pensare che l’etimo di “tiranno” è il capo della fattoria, colui che controlla la produzione del formaggio (tyrós), e lo scettro evolve del tutto naturalmente dal bastone del pastore. E un sistema di governo che è assurto a modello per millenni, quello dei faraoni (le cui rappresentazioni arcaiche li raffigurano come animali feroci), trae la sua origine dallo sfruttamento delle alluvioni periodiche del Nilo. […]

E qui veniamo a un’altra articolazione della microfìsica postmoderna del potere, che anche in questo caso è lo sviluppo — reso possibile dalla nuova potenza dell’informatica- di aspetti antichissimi. Nel momento in cui il faraone cessa di venir rappresentato come un animale feroce si fa avanti la figura dello scriba, del contabile, del burocrate. È la nascita dei documenti (e complessivamente della sfera che propongo di chiamare documentalità, […]. La creazione dei “documenti” è un evento, nella storia delle società umane, di cui difficilmente si può sopravvalutare l’importanza, perché segna il sorgere di una sfera istituzionale fatta di norme, di leggi, di contratti che regolamentano la vita. Certo, si potrà sempre obiettare che anche attraverso i documenti si può esercitare la violenza, e la storia è piena di testimonianze in questo senso. A rigore, il burocrate dovrebbe semplicemente attuare delle disposizioni decise in altre sedi. Di fatto, il possesso dei mezzi di iscrizione costituisce un potere esattamente come il possesso dei mezzi di produzione, e permette alla burocrazia di scavalcare o di anticipare le istanze (siano esse la politica o il diritto) a cui è formalmente subordinata. Lo spirito delle leggi, in altri termini, trova la sua applicazione concreta nella lettera della burocrazia. Questa circostanza è già stata riconosciuta da Max Weber, e Cari Schmitt, allievo di Weber, ha interpretato l’intero problema del totalitarismo come un esito dell’ampliamento del potere burocratico. In questo senso, lo Stato totalitario del Terzo Reich non è una deviazione, bensì un rafforzamento di questa linea, che identifica burocrazia e legalità, il che di passaggio spiega lo sterminio burocratizzato. La nuda vita nei lager aveva come presupposto un’intensa attività impiegatizia, un procedere per documenti, che identificava correttezza burocratica con legalità. Resta che si tratta dell’unico modo con cui le società umane hanno provato a vestire la “nuda vita”, dando forma alla forza e difendendo la vita dalla sua bulimia.

C’è un ultimo tratto del potere nel mondo postmoderno, che vorrei chiamare “mobilitazione”. I tratti generali dell’epoca postmoderna in politica sono in buona parte quelli di una rivoluzione senza emancipazione o — se si preferisce — di una emancipazione senza rivoluzione. Perché indubbiamente l’estrema liquidità e mobilità che il sociologo Zygmunt Bauman ha riconosciuto come il tratto caratteristico del postmoderno emancipano dai vecchi ruoli e dalla loro fissità. Al tempo stesso, però, ciò che prende il posto delle antiche solidità è liquido ma non leggero: in parole povere, non dobbiamo più rispondere a un padrone solo, ma a tantissimi, il che non necessariamente è un vantaggio. […]

 

MAURIZIO FERRARIS

Da “Potere” – La Biblioteca di Repubblica

FOTO: Rete

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