MEDIOEVO – II latino, idioma universale

II tratto linguistico che contraddistingue in maniera precipua il Medioevo consiste nel ruolo del latino. Questa lingua, che perlomeno dal VI secolo non rappresentava più per nessuno la lingua madre, restava tuttavia la lingua più diffusa fra quelle vive: veniva normalmente parlata da tutte le persone di Chiesa, clero secolari o monaci, quindi da parecchia gente, specie nell’ambito dell’Occidente cristiano.

Inoltre, rappresentava l’unica lingua colta: ogni forma di insegnamento intellettuale veniva impartita in latino; si era dotti soltanto se si riusciva a parlare latino; per molto tempo, e ancora intorno al mille, si scriveva praticamente soltanto in latino […].

Un certo numero di laici insigni, variabile a seconda delle generazioni, godeva dei privilegi della latinità, in seguito agli studi da loro seguiti […]. Qui vale la pena di osservare in quale modo funzionasse questo complesso sistema linguistico a più livelli. […]

Resta pur sempre il fatto che il complesso degli ambienti laici era precluso alla latinità. Ciò nonostante, l’intera società funziona solo tramite il latino, e anche abbastanza agilmente, in quanto ovunque ci sono chierici, vale a dire persone istruite nell’unica istituzione in grado di farlo, la Chiesa, della quale fanno parte a diverso titolo. Si tratta di ministri, ambasciatori, economi, giuristi, segretari privati. Essi prestano a chi ne abbia bisogno i loro occhi, la loro penna, la loro lingua, assicurano le corrispondenze, redigono gli atti giudiziari. E fra loro, specie nei concili in cui si riuniscono i vescovi, essi si esprimono in latino.

Anche con Dio essi parlano in latino. E nelle loro preghiere sono alla presenza del popolo, che li ascolta e assiste alle loro messe o alle fastose cerimonie liturgiche che accompagnano le principali festività. I più umili, dunque, sentivano parlare, e soprattutto cantare, in latino. Naturalmente non ci capivano nulla e tanto più ne ricavavano il senso della solennità di questi appelli all’invisibile. Con il loro senso magico del sacro, trovavano del tutto naturale che si dovesse ricorrere, per rivolgersi a Dio, a una lingua diversa da quella di tutti i giorni. Non era, infatti, importante che capissero, ma che fosse Dio a capire.

È forse noto che i nostri religiosi nei chiostri, da qualche decennio, salmodiavano ancora per ore e ore preghiere latine, delle quali non capivano minimamente il significato? Eppure questo non impediva loro di nutrire una fede limpida e coerente.

Se dunque le forme espressive dei vari luoghi erano infinitamente più numerose e variegate di oggi, esisteva tuttavia, per abbordare i principali affari divini e umani, e anche quelli meno importanti, una lingua universale. Ne derivava il senso di una solidarietà, quella della Cristianità.

L’Impero d’Occidente era ormai soltanto un ricordo, le nazioni europee costituivano il segreto ancora insospettato dell’avvenire, esistevano soltanto patriottismi strettamente locali e, soprattutto, rivalità e scontri di interesse su piccola scala, all’origine di conflitti sanguinosi. Ma ognuno sapeva che in qualsiasi parte dell’Occidente si pregava Dio con le stesse parole, e questo sostituiva in certo modo un sentimento nazionale, quello che avrebbe reso possibile lo spirito di crociata.

 

EDMOND POGNON

Da “Vita quotidiana nell’anno mille” – Fabbri Editore

Foto: Rete

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close