Inizia il Medioevo, per la Calabria comincia l’arretramento e l’isolamento.

 

Il declino di Roma comportò conseguenze di non poco momento sulla Calabria. La concorrenza delle province dell’Impero nei confronti della Calabria, infatti, si verificava per il loro riprendersi dagli effetti della conquista romana e, quindi, col riemergere della loro autonomia in seno a un più vasto mercato; ciò comportava anche la fine delle massicce importazioni di manodopera schiavistica da insediare nelle regioni di più antica romanizzazione, come le terre bruzie. Molti fattori, ormai, cospiravano alla ulteriore desertificazione della Calabria, una terra rimasta a lungo sottopopolata. Certo, il processo che vide il declino della società calabrese (economia, strutture civili, cultura) fu lento; e il deperimento delle strutture della Calabria non scaturiva da evoluzioni proprie, ma dal variare del quadro internazionale e dalle connesse variazioni di lungo periodo. Esaurite le vocazioni di livello alto, la società calabrese sembrò rinchiudersi nel bozzolo delle sue pendici verso la costa e, infine, nel seno dei suoi monti. La stasi conobbe una durata incredibilmente protratta nel tempo e la regione attraversò i secoli dell’età di mezzo in una dimensione del tutto isolata.

Lentamente decaduta, da punto focale al centro del Mediterraneo, a remota provincia, tributaria d’imposte e materie prime, la Calabria non solo perse ogni sua identità protagonistica, ma si avviò a essere restia ad accogliere i segni e i frutti delle civiltà succedutesi nel suo seno. Proprio la sua condizione di estrema periferia fece sì che, lontana dai tormenti delle invasioni, essa rimase anche priva di quei fermenti ed episodi culturali complessi che, altrove, segnavano il passaggio a un diverso modo di essere sul proscenio della storia. Così quella Calabria, i cui gloriosi ricordi dell’età classica parlano ancora sulle coste solitarie o nei musei, divenne d’un tratto muta, o quasi, quando si venne all’etàdi mezzo.

La tradizione storica medievale, se posta a confronto con la gran massa di eventi, figure e idee di cui siamo informati per l’età classica, sembra restituirci una Calabria quasi deserta. Immagine antistorica, certamente: e però il visitatore, se non addirittura lo storico, si chiede: dove mai riposino i resti e le memorie di quelle civiltà e signorie che pure hanno avuto in Calabria secolare dimora: goti, longobardi e normanni, svevi, angioini e aragonesi (ma di longobardi e angiomi non ci resta quasi nulla, se si eccettua, per questi ultimi, il grandioso tempio di Altomonte). Della lunga civiltà bizantina ci restano alcune reliquie, che ci restituiscono, appunto, il senso del rinchiudersi e del segregarsi: ma degli altri?

Non mancano episodi (architettonici e poco altro): ma nel complesso si tratta, appunto, di episodi, isolati e rari per giunta, non fusi in un tessuto civile di cui resti traccia: lontanissimi tra di loro, là un castello, qua una cattedrale, laggiù un’area sepolcrale. Allorché si guarda alle memorie bizantine e basiliane, questa più silente Calabria, che rarissimamente parla il linguaggio delle signorie nordiche che pur vi regnarono, mostra i segni di una tensione irrisolta tra un comune sostrato antico – generi di vita, cultura, sensibilità – e i referenti di élites nuove ma transeunti, rimaste estranee per sempre.

 

AUGUSTO PLACANICA

Da “Storia della Calabria” – Donzelli

Foto: Rete

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