La nascita della pittura a olio

ALLEGORIA SACRA – G. Bellini, olio su tavola – Firenze, Uffizi

 

Poco dopo la metà del Quattrocento ebbe luogo in Italia un fondamentale mutamento tecnico nella pittura su tavola: il passaggio dalla pittura a tempera a quella a olio. L’urgenza del mutamento è dimostrata dal fatto che la stessa tecnica della tempera veniva modificata, proprio allora, per dar luogo a risultati di accentuato effetto naturalistico. In precedenza, infatti, le superfici dipinte a tempera erano il risultato di un accostamento di campiture, più o meno estese, di colore omogeneo; verso la metà del XV secolo si avvertì diffusamente l’esigenza di conferire al dipinto un carattere più fuso, in cui cioè i colori fossero più vari e sfumati e più graduali i trapassi da uno all’altro: si ottenne questo effetto con una stesura del colore a velature, cioè tramite successive passate di patine di colore, sovrapposte le une alle altre sino a raggiungere, per avvicinamento progressivo, la tonalità voluta.

In questo modo i trapassi di tono erano addolciti e le campiture rese meno uniformi, dunque più ricche e pastose. L’esigenza poi di associare, in un medesimo dipinto, sfondi più trasparenti e forme in primo piano più plastiche e tangibili portò anche all’accostamento di tinte più acquose (le tempere cosiddette magre) con altre più dense e compatte (le tempere grasse), in cui le sostanze colloidali aggiunte come agglutinanti alla miscela dei colori e dell’acqua (per lo più uovo, ma anche colle, gomme, lattice di fico, cera) vennero sostituite da sostanze di tipo oleoresinoso, più grasse, che prepararono l’avvento della tecnica a olio vera e propria.

Nella pittura a olio si usava infatti, come sostanza agglomerante, l’olio vegetale (di lino, di noce), misto a trementina: il colore così ottenuto dava grandi vantaggi, poiché permetteva di accentuare la luminosità delle tinte, di ampliare la gamma dei pigmenti, e poteva essere steso in modo molto liscio e accurato (come si usò nel XV secolo), ma anche con pennellate larghe e rapide (come talora si fece nel XVI secolo); poteva essere steso con la spatola e perfino con le dita (Tiziano) ed era facile apportare all’opera correzioni e ritocchi.

LA GIOCONDA. Leonardo, olio su tavola – Parigi, Louvre

È certo che la tecnica a olio fu adottata nelle Fiandre prima che in Italia. Nella penisola apparve intorno agli anni settanta e fu usata per la prima volta da Piero della Francesca in Italia centrale, da Antonello da Messina nel sud Italia e a Venezia, a Firenze nella bottega di Verrocchio (Leonardo da Vinci). Nelle Fiandre essa comparve già nella prima metà del XV secolo, nelle opere di Jan Van Eyck e di Rogier Van der Weyden, ma non è giusto dire che essa fu inventata dai fiamminghi: era infatti nota nell’antichità e nel Medioevo, ma non veniva adoperata dai pittori perché i colori impiegavano troppo tempo ad asciugare. I fiamminghi recuperarono dunque una tecnica nota, ma poterono finalmente usarla perché inventarono gli accorgimenti tecnici atti a evitarne gli inconvenienti, stimolati dalla necessità poetica di creare opere che avessero caratteristiche di forte luminosità.

Fino al XVI secolo la tecnica a olio non fu usata dai pittori in modo esclusivo: adottavano piuttosto una tecnica mista con velature alternate di colori a tempera e a olio, per conciliare la lucentezza dei secondi con le garanzie di durata e di solidità che i primi offrivano.

Quanto alla tecnica di ciascun pittore, essa era gelosamente tenuta nascosta, trattandosi di un segreto professionale; la preparazione dei supporti e dei colori, nonché la loro stesura, comportavano spesso procedimenti molto complessi, come dimostra la formula usata da Leonardo da Vinci per preparare l’imprimitura delle tavole, riportata nei suoi manoscritti: mastice di trementina distillata due volte, con aggiunta di bianco e di cerussa, calce, acquavite, arsenico e sublimato corrosivo stesi sulla tavola, su cui venivano poi passati uno strato di olio di noce bollito, uno di vernice, uno di bianco; la tavola così preparata veniva lavata con orina, quindi levigata con la pomice.

 

Da “Storia dell’arte 2” – Electa – Mondadori

Foto: Rete

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