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«L’assai è come il niente».

 

Nel mondo in cui sono nato e cresciuto, i bisogni primari erano soddisfatti al prezzo di scelte dolorose. Il mondo tradizionale si fondava spesso su grandi disuguaglianze sociali e sull’oppressione dei più poveri.

Tutto questo era […] attestato dalle distanze alimentari tra i diversi ceti sociali. Non era certo idilliaco il rapporto con la natura e nemmeno quello con gli animali, e tuttavia nel mondo contadino il loro «sacrificio» avveniva con un sentimento di pietas e di partecipazione. Il sacrificio e la violenza non erano mai gratuiti. I disboscamenti e le messe a coltura di nuovi terreni avvenivano quando erano o apparivano necessari. Gli animali erano «componenti» del nucleo familiare: gli individui parlavano con loro e ne ricevevano parole, avvertimenti, presagi, beni. Nelle notti magiche e durante i riti di passaggio, come nel periodo natalizio, gli animali potevano prendere la parola per dire male dei padroni che non li trattavano bene.

Il «sacrificio» compiuto dai migranti (tanta letteratura ha parlato di «sangue degli emigrati») è teso alla creazione di un mondo migliore, rivolto alla ricerca di un altrove più giusto e più accogliente; comportava l’affermazione di nuovi modelli che allontanavano dalla necessità e quindi anche da quella «sacralità» a essa legata.

L’arrivo della modernità, con l’avvento dei beni di consumo e di nuove disponibilità, realizzava sogni e desideri antichi e spezzava la dipendenza dalla produzione quotidiana e stagionale. E l’uscita dalla precarietà e dalla miseria, tuttavia, non comportava la nascita di una sacralità diversa, capace di organizzare l’abbondanza, di non sprecare il necessario. Un esito paradossale, quello della modernizzazione e della mondanizzazione di tutte le società tradizionali dell’Occidente. Nel tempo, le magnifiche sorti progressive si sono rivelate un’illusione e l’Occidente si è avviato verso un’implosione, verso un suicidio da bulimia sociale, di cui quella alimentare è soltanto un aspetto. La modernizzazione (spesso realizzata in forme violente) diventa gratuitamente «desacralizzazione»: il cibo e l’acqua ormai disponibili perdono quell’urgenza e quella sacralità che li caratterizzava; non rivelano più il senso del limite e cancellano la consapevolezza di un patto necessario tra uomo, animali, ambiente, vale a dire tra le diverse forme di vita presenti in natura.

Nell’arco temporale di due generazioni, abbiamo constatato che i beni alimentari non sono illimitati, conquistati una volta per sempre, disponibili per tutte le persone. Le illusioni e gli inganni creati dalla società dei consumi si sono progressivamente sfarinati, sbriciolati a contatto con la realtà e con la verità del mondo. Un modo di dire del mio luogo d’origine, che

ha varianti nei dialetti e nel folklore di tutta Italia, ancora ripetuto per la sua attualità e per un suo nuovo senso, avverte che «l’assai è come il niente». L’assai non basta mai, in questa società sfrenata e senza regole.

Il benessere che, peraltro, non ha riguardato tutto il mondo, comincia a non riguardare nemmeno più il nostro mondo. Cibo e acqua non sono a disposizione di tutti, e un domani non troppo lontano potrebbero non bastare neanche per noi. I poveri aumentano da noi e diventano sempre più numerosi nel mondo. Il tempo presente, che non sa «che fine ha fatto il futuro», per dirla con Mare Auge, propone scenari che vanno in una direzione opposta. Per qualcuno la «fine» è già avvenuta e noi ne stiamo soltanto prendendo atto. Per altri, la possibilità di un futuro radioso comincia a diventare concreta grazie alle continue scoperte scientifiche e all’affermarsi di ingegneria genetica e biotecnologie.

Si passa dalle concezioni pessimistiche e apocalittiche che parlano di autodistruzione dell’umanità e autoestinzione della nostra specie alle visioni ottimistiche di una vita postbiologica ed extraterrestre dei transumanisti. Proprio la biotecnologia apre, però, possibilità controverse che sembrano prefigurare scenari da fine del mondo e la scomparsa dell’Homo sapiens. Tra un pessimismo per un futuro da incubo e l’ottimismo futuristico tipico delle moderne filosofie della storia, tra bioconservatorismo e futurismo postumanistico, forse si potrebbe affermare una prudenza, un’apertura che porti, per esempio, all’utilizzo delle biotecnologie per «soddisfare innanzitutto altre priorità, quali, ad esempio, la cura delle malattie, il risanamento dell’ambiente e l’eliminazione della povertà» (Franceschelli, 2014). Naturalisti, credenti, postumanisti ragionevoli potrebbero convenire sul giovamento che proprio l’utilizzo della potenza biotecnologica trarrebbe dall’essere accompagnata dalla tecnica della saggezza.

Il fatto è che l’ecosistema sembra già compromesso in maniera irreversibile; i poveri e i sofferenti del mondo, in maggioranza, non possono e non vogliono più aspettare. Per fuggire dalla fame, dalla sete, dalle guerre, migliaia di persone affrontano quotidianamente la morte. In un mondo ingiusto e segnato da grandi squilibri, confesso la mia angoscia: sembrano avverarsi gli scenari apocalittici di cui ha parlato Jean Baudrillard e quelle inclinazioni che Rene Girard definisce « tendenze all’estremo». Quanto accade a livello planetario fa vacillare la nostra visione della storia com’è stata scritta a partire dalle rivoluzioni americana e francese, una visione, come scrive Girard, «incapace di dar ragione del fatto che è l’intero Occidente ad essere minacciato» da una tendenza all’estremo innescata dal terrorismo islamista che, peraltro, trae la sua forza dal suo «essere risposta contro l’oppressione subita dall’intero Terzo Mondo» (Girard, 2008). […]

 

VITO TETI

 

Da “Fine pasto” – Einaudi

Foto: Rete

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