BOCCACCIO – Un amore sfortunato

 

Guglielmo, re di Sicilia, ebbe due figli, un maschio, Ruggieri, e una femmina, Costanza. Ruggieri, morendo prima del padre, lasciò un figlio di nome Gerbino, che venne allevato con grande affetto dal nonno e divenne un giovane bellissimoe valoroso.

La sua fama non si diffuse solamente nei confini della Sicilia, ma varcò il mare e giunse fino alla Barberia che a quell’epoca versava tributi al re di Sicilia.

Tra tutti quelli che udirono esaltare le virtù cavalleresche e la grande cortesia di Gerbino, vi fu anche la figlia del re di Tunisi, la quale, a detta di chi la conosceva, era una delle più belle creature che mai si fossero viste e altrettanto virtuosa e di nobile animo.

La fanciulla, ascoltando volentieri il racconto delle imprese compiute dai grandi eroi del tempo, accolse con tale entusiasmo le notizie su Gerbino che finì per innamorarsene perdutamente. D’altra parte, anche in Sicilia era giunta la rinomanza della sua bellezza e della sua virtù e arrivò fino alle orecchie di Gerbino che, nella stessa maniera, si innamorò di lei non meno di quanto lei era di lui. Per tale motivo, desideroso di incontrarla, Gerbino aspettava un’occasione conveniente per ottenere il consenso dal nonno e recarsi a Tunisi, ma, nel frattempo, ordinava ad ogni amico che si recava in quel paese che facesse sapere alla fanciulla del suo grande amore e poi gli riferisse notizie di lei.

Uno di questi lo fece con molta accortezza: fingendosi un mercante, si recò da lei per mostrarle dei preziosi gioielli e qui le confessò il grande ardore di Gerbino, rammentandole che lui era pronto a esaudire ogni suo comando. La ragazza accolse la notizia con immensa gioia, rispose che provava per lui lo stesso amore e, a testimonianza di ciò, gli mandò un suo gioiello di gran pregio.

Gerbino accettò il dono con infinita letizia e, attraverso lo stesso amico, le scrisse più volte, le inviò doni preziosissimi e prese segreti accordi per potersi incontrare, se la fortuna lo avesse concesso. Ma, continuando così e procedendo le cose in modo piuttosto lento, mentre lei sospirava per amore di lui e lui sospirava per amore di lei, il re di Tunisi maritò la figlia al re di Granata.

La fanciulla si addolorò molto per questa decisione, non solo perché si allontanava sempre più dal suo amato, ma anche perché vedeva svanire ogni speranza e il suo cruccio fu tale che volentieri sarebbe fuggita per raggiungere Gerbino. Similmente Gerbino, sentita la notizia del maritaggio, fu preso dalla disperazione, cadde nella più cupa sofferenza e cominciò a pensare come avrebbe potuto rapirla se lei, per caso, avesse cercato di raggiungere Granata per mare.

Il re di Tunisi, venendo a conoscenza del proponimento di Gerbino e temendo il suo valore e la sua forza, mandò degli ambasciatori da re Guglielmo per avvertirlo del pericolo che la figlia stava correndo per colpa di suo nipote. Al tempo stesso chiese rassicurazioni affinché nulla potesse accadere durante il viaggio e la fanciulla potesse raggiungere Granata per concludere le nozze stabilite. Il re Guglielmo, ignaro dell’amore di Gerbino per la ragazza e non immaginando la ragione per cui era stata fatta tale richiesta, concesse ogni rassicurazione e, quale maggiore garanzia, inviò al re di Tunisi un suo guanto.

A questo punto, nel porto di Cartagine cominciarono tutti i preparativi: fu fatta apprestare una bella e grandissima nave che venne adornata e rifornita con tutto il necessario per confortare la figlia durante il viaggio; ormai non si aspettava altro che le condizioni del tempo fossero favorevoli alla navigazione.

La fanciulla che assisteva a tutto questo fermento, si addolorava sempre più e, di nascosto, inviò un suo servitore a Palermo per salutare Gerbino da parte sua, per fargli sapere che entro pochi giorni sarebbe partita e per sottolineargli che, in tale occasione, avrebbe potuto mostrare il valore di cui era famoso e l’amore che più volte le aveva dichiarato. Il servitore riferì alla lettera l’ambasciata e tornò a Tunisi, lasciando Gerbino nel più profondo turbamento. Infatti, venuto a conoscenza della promessa fatta dal nonno al re di Tunisi, ma spinto dall’amore e dal timore di apparire un vile agli occhi della donna tanto amata, decise di andare ugualmente a Messina per mettere in atto il suo disegno.

Qui ordinò di armare due galee, vi fece salire uomini valorosi e subito si recò nella parte settentrionale della Sardegna, sperando che la nave della donna passasse proprio lungo quelle rade.

Non dovette attendere molto: dopo pochi giorni, nella fredda luce dell’alba, vide arrivare la nave non lontano da dove si era nascosto e immediatamente esortò i suoi compagni: “Signori, se voi siete valorosi così come io ritengo, ora dovete dimostrarlo: credo che nessuno di voi abbia mai provato l’amore, un sentimento senza il quale nessun mortale può avere alcuna virtù o bene; se siete stati innamorati, vi sarà facile comprendere il mio desiderio. L’amore mi ha indotto a trascinarvi in questa impresa e la donna che amo è proprio sulla nave davanti ai vostri occhi. Quella nave, oltre a portare la mia amata, è piena di grandissime ricchezze che, se siete davvero dei prodi, potremo conquistare facilmente. Come bottino io prenderò solo la donna, per amore della quale sto combattendo, ogni altra cosa sarà vostra. Andiamo, dunque, e assaliamo la nave: Iddio è favorevole alla nostra impresa poiché la bonaccia sta tenendo ferma la nave per noi! “.

Non furono necessarie altre parole. I Messinesi erano talmente desiderosi di fare un buon bottino che in un attimo suonarono le trombe, presero le armi e, remando con impeto, giunsero alla nave. Il bel Gerbino ordinò che i padroni di quella nave scendessero per salire subito sulle galee, se non volevano lo scontro, ma i Saraceni, informati dell’identità e delle richieste, dissero che l’assalto stava avvenendo contro le garanzie date dal loro re e, in segno di ciò, mostrarono il guanto di re Guglielmo. Essi non avrebbero lasciato la donna senza combattere.

Gerbino che intanto aveva visto la fanciulla a poppa, molto più bella di quanto avesse immaginato, si infiammò più di prima e disse che non c’era bisogno di guanti, perché non c’erano falconi. Senza attendere oltre, cominciarono a lanciare frecce e pietre e diedero inizio allo scontro.

Vedendo infine che rimaneva ormai poco da fare, Gerbino prese un battello incendiario portato dalla Sardegna e lo accostò alla nave nemica. I Saraceni, comprendendo che potevano solo arrendersi o morire, fecero venire la figlia del re sopracoperta, chiamarono Gerbino mentre lei chiedeva pietà e la uccisero gettandone il corpo in mare e così gridarono: “Prendila ne| modo in cui ti meriti per la tua lealtà!”.

Gerbino, desideroso ormai di morire, incurante delle frecce e delle pietre scagliate, salì sulla nave nemica e, non diversamente da un leone famelico che attacca un armento di giovenchi con le unghie e con i denti, cominciò a uccidere crudelmente ora questo ora quello, per saziare prima la sua ira, poi la sua fame di vendetta. Mentre l’incendio si propagava, i Messinesi si affrettarono a prendere il ricco bottino per cui avevano combattuto e Gerbino, sconvolto dalla tragedia, nonostante la vittoria riportata sugli avversari, fece recuperare il corpo dell’amata, piangendo disperatamente. Tornando verso la Sicilia, la fece seppellire con alti onori a Ustica, un’isoletta quasi davanti a Trapani e, addoloratissimo, tornò a casa.

Più tardi, il re di Tunisi mandò a Guglielmo degli ambasciatori per accusarlo di non aver osservato la garanzia promessa e Guglielmo, turbato fortemente dall’episodio, non trovò altra soluzione che condannare Gerbino alla decapitazione, preferendo rimanere senza nipote, piuttosto che essere considerato un re sleale.

Così, miseramente, in pochi giorni, i due innamorati morirono in modo atroce, senza mai aver gustato alcun frutto del loro grande amore.

 

GIOVANNI BOCCACCIO

In “MEDIOEVO FAVOLOSO”  – Agorà Edizioni

Foto: Rete

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