Ermes, dio astuto, ladro e musico, è innanzitutto il «benevolo».

Hermes e  con la madre Maia –  Dettaglio da un’anfora attica

 

Dio astuto, ladro e musico, Ermes è innanzitutto il «benevolo». Tutte le sue azioni sono dettate da intelligenza vivace e acuta finalizzata a fare dell’astuzia un’arte. Dio dei viandanti e viaggiatore nella notte egli stesso, Ermes simboleggiava il legame divino fra Cielo e Terra, la mediazione, lo scambio, le doti di dio psicopompo del passaggio nell’Aldilà. Dio della fecondità, egli comunicava una potente carica sessuale rappresentata in simulacri fallici di pietra e legno: la caratteristica erma costituita da un fallo terminante con il capo del dio. La funzione apotropaica assolta dalle erme riconduce a un altro elemento caratterizzante di Ermes: quello di magico guardiano delle soglie. Complessa figura mitica, Ermes univa alla sua capacità politecnica, una notevole eloquenza e preveggenza.

 

Ermes, il nume forse più simpatico del Pantheon ellenico, nacque da Zeus e da Maia. Sua madre era una Ninfa, la più giovane delle Pleiadi (le sette figlie di Atlante e di Pleione). Fin dall’inizio, l’illecita relazione ebbe un ovvio carattere di segretezza, onde evitare le ben note ritorsioni da parte della gelosa Era. Dopo il concepimento in piena notte, complice l’Oscurità e il Sonno di tutti gli dei, arrivò dopo dieci mesi il momento del parto.

Ermes nacque all’alba, in un’ombrosa caverna solitaria del monte Cillene, nel sud dell’Arcadia. Subito Maia — la Ninfa «dai riccioli belli» — lo avvolse nelle fasce e lo adagiò in una cesta. Non appena la madre lo lasciò solo, Ermes balzò rapidamente dalla sua culla di vimini e, straordinariamente precoce, iniziò a correre in cerca di avventure. Il piccolo dio giunse in Tessaglia, dove Apollo, tutto preso ad amoreggiare con Imeneo, figlio di Magnes, custodiva con negligenza la mandria del re Admeto.

Approfittando del momento propizio, l’impertinente pargolo catturò ben dodici vacche, cento giovenche e un toro. Con un’abilità degna di un esperto ladro, egli condusse l’armento — attraversando tutta la Grecia — a Pilo, dove lo nascose in una caverna. Per evitare di lasciare tracce, questo piccolo perfetto truffatore trascinò il bestiame all’indietro e, non avendo sandali, se li costruì con tamarindi e ramo di mirto. Dopo aver sacrificato due bestie, ne fece dodici parti e le offrì agli dei d’Olimpo.

Preoccupato di essere inseguito e che sua madre potesse notare la sua assenza, Ermes si accinse a ritornare alla grotta natia. Lungo il cammino trovò una tartaruga e fissò nel guscio dell’animale due canne e delle corde ottenute dalle budella degli animali uccisi. Dalla lira che aveva inventato risuonò una musica così soave, ma anche così gaia e spensierata, che tutto il mondo se ne compiacque.

Nel frattempo Apollo si era dato a una ricerca intensa e sconsolata per tutta la Grecia. Giunto sul monte Cillene, egli si rivolse a Maia con parole severe, chiedendo la restituzione della sacra mandria. Allo stupore per l’assurda richiesta, la Ninfa unì l’indignazione per la calunnia. Mostrando il bambino dormiente nella culla, ella apostrofò Apollo in malo modo per la sconsideratezza delle sue folli convinzioni. Il figlio di Latona insistette e chiese d’interrogare il neonato. Dal canto suo il ladruncolo mentì spudoratamente, negando ogni responsabilità. Apollo si sentiva umiliato e ridicolo e pensò di levare il disturbo. Ma mentre se ne stava andando, egli notò le pelli disseccate appese alla caverna, e vide confermati i suoi sospetti. Afferrato il piccolo Ermes per un orecchio, lo condusse al cospetto di Zeus, giudice massimo.

Di fronte alla malizia e alla mancanza di scrupoli del versatile pargolo che continuava a negare il furto, Zeus non potè trattenersi dal ridere. Era sorpreso egli stesso della spudoratezza di quel suo figliolo, così piccolo e grazioso e così birbante e furfantello.

Il Cronide, fingendo di adirarsi e assumendo un tono solenne e minaccioso, lo obbligò a restituire la refurtiva. Intanto Apollo aveva visto quello strano strumento fatto con budella e guscio di tartaruga ed era rimasto così affascinato dal suono che produceva, che volle proporre uno scambio: Ermes tenesse pure la mandria a patto che gli donasse in cambio la magnifica lira. I due fratelli raggiunsero l’accordo, che si rifece in un’altra occasione. Questa seconda volta il creativo Ermes inventò il flauto e ne ebbe in cambio da Apollo, il caduceo  a forma di doppio serpente.

Hermes osserva il corpo di Serpedonte portato da Hypnos e Thanatos nel Cratere di Eufronio.

Ingegnoso, eloquente e persuasivo, egli diventò l’araldo degli immortali. Con i magici calzari d’oro, egli poteva andare dall’Olimpo in terra, in mare e in Averno. Messaggero di ordini e punizioni gravi, Ermes portava sovente aiuto e la sua apparizione significava liberazione.

Ermes soccorse il dio Ares nella prigionia a cui l’avevano costretto i Giganti Aloadi; riportò Persefone — rapita dal dio Ades — alla madre Demetra. Ma Ermes era innanzitutto l’Argicida, «colui che ha ucciso Argo», il gigantesco mostro dai cento occhi, incaricato da Era di sorvegliare Io trasformata in giovenca. Zeus stesso fu salvato da lui nella lotta contro Tifone. Abile anche nella battaglia, Ermes partecipò alla Gigantomachia indossando l’elmo magico di Ades, e resosi invisibile, riuscì a uccidere il Gigante Ippolito.

Interprete e portavoce della volontà suprema, il suo apparire provocava sbigottimento e tensione per la possibile negativa decisione di Zeus. Nunzio del divino padre, il dio briccone diventò in seguito anche esecutore delle sue somme volontà. Mai autoritario né costrittivo, egli non imponeva con violenza le alte decisioni, ma sempre con delicata esortazione.

Dio patrono defili oratori per la sua abilità persuasiva, egli riusciva sempre a rendere bene accette le disposizioni divine, mediante il consiglio.

Dio dei viaggiatori in pericolo, ma anche dei ladri e dei malfattori, gli erano consacrate le erme — pietre aniconiche poste ai crocicchi. Viandante per eccellenza, Ermes non conosceva frontiere, sicché la sua libera discesa in Averno, ne fece un accompagnatore di anime. Con il suo atteggiamento cordiale di ladro amichevole e simpatico, con i suoi prodigiosi calzari dorati, con il magico caduceo con cui addormenta e risveglia a suo piacere, Ermes presentava tutte le caratteristiche indispensabili per un’ottima guida dei morti negli Inferi. E ogni morente avrebbe gradito essere accompagnato dal dolce dio Psychopompos, affascinante e letale nello stesso tempo.

Hermes Krioforos

Divinità benevola, Ermes non fu mai bersaglio della collera di Zeus, tanto da meritarsi il titolo di Eriunios «il Benigno». Il fatto di essere dio patrono dei pascoli in Arcadia, terra «nutrice di greggi», gli valse il titolo di Ermes Krioforos, portatore di pecora o d’ariete. Elemento fondamentale della figura di Ermes è il suo carattere fallico originario: nelle pratiche cultuali gli erano consacrati i phallos, monumenti di pietra o legno. Tuttavia mancarono, nella sua densa storia, rilevanti episodi di passione amorosa, tranne la sua relazione con Driope, figlia di Driopo, da cui nacque Pan, il grande dio fallico dal prorompente erotismo selvaggio. Altri figlioli famosi del dio briccone, furono Autolico, un famoso ed eccellente ladro, e Dafni, dall’indole gentile e pacata. Grande amico di Apollo, Dafni aveva imparato a suonare il flauto da suo fratello Pan. Egli amava la gelosa Ninfa Nomia che lo ossessionava con i suoi inutili sospetti. Quando la Ninfa Chimera riuscì a circuire il fedele Dafni facendolo ubriacare, Nomia per vendetta lo accecò. Addolorato per la disgrazia del figlio, Ermes intervenne e lo trasformò in una fonte.

Associata a Ermes nei compiti e nelle prerogative era Iris, messaggera degli dei, ma se ne differenziava per la durezza con cui eseguiva i comandi divini. Dipendente soprattutto da Era, l’ancella della regina d’Olimpo raramente acquistava valenze soccorrevoli e protettrici. Figlia di Taumante e dell’Oceanina Elettra, Iris «dalle grandi ali d’oro» era collegata all’iridata luce dell’arcobaleno e — più in generale — al legame che univa Terra e Cielo, numi e uomini.

Alata, vestita di veli multicolori, volava per i cieli sola e disarmata. Sue sorelle erano le Arpie, divinità infernali della bufera e della morte violenta, anch’esse provviste di ali.

 

ROSA AGIZZA

In “MITI E LEGGENDE DELL’ANTICA GRECIA” – Newton & Compton

Foto: RETE

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