L’UOMO E I SUOI SIMBOLI

Carl Gustav Jung

 

L’uomo usa la parola parlata o scritta per esprimere il significato di quello che egli vuole comunicare. Il suo linguaggio è pieno di simboli, ma egli spesso fa uso anche di segni o di immagini che non sono descrittivi in senso stretto. Alcuni sono semplici abbreviazioni o successioni di iniziali, come ONU, UNICEF, o UNESCO; altri sono familiari marchi di fabbrica, nomi di specialità medicinali, simboli o insegne. Sebbene siano in se stessi privi di significato, essi hanno acquistato un significato riconoscibile attraverso l’uso comune o per un intento convenzionale. Tutti questi non sono simboli. Essi sono segni e non hanno altro compito che quello di denotare gli oggetti a cui sono riferiti.

Ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia, possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Esso implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. Per esempio, molti monumenti cretesi sono contraddistinti dal disegno della doppia ascia. Si tratta di un oggetto che ci è familiare ma di cui non conosciamo le implicazioni simboliche. Per fare un altro esempio, prendiamo il caso di quell’indiano che, dopo aver visitato l’Inghilterra, tornato in patria raccontò ai suoi amici che gli Inglesi venerano gli animali dal momento che egli aveva trovato aquile, leoni e buoi nelle vecchie chiese che aveva visitato. Egli non sapeva, né lo sanno molti cristiani, che questi animali simboleggiano gli Evangelisti e derivano dalla visione di Ezechiele e che questa, a sua volta, ha un’analogia con la divinità egiziana del sole, Horus, e i suoi quattro figli. Ci sono poi altri oggetti, come la ruota e la croce, che sono conosciuti in tutto il mondo e che tuttavia hanno un significato simbolico in certe particolari condizioni. Ciò che essi simboleggino di preciso è ancora materia di controversia.

Perciò una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, «inconscio», che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali. La ruota può condurre i nostri pensieri al concetto di un sole «divino», ma a questo punto la ragione deve ammettere la propria incompetenza: l’uomo è incapace di definire un essere «divino». Quando, con tutte le nostre limitazioni intellettuali, noi chiamiamo qualcosa «divino», non abbiamo fatto altro che attribuirgli un nome che al massimo può esser fondato sopra un credo, non su prove di fatto.

Poiché ci sono innumerevoli cose che oltrepassano l’orizzonte della comprensione umana, noi ricorriamo costantemente all’uso di termini simbolici per rappresentare concetti che ci è impossibile definire o comprendere completamente. Questa è una delle ragioni per cui tutte le religioni impiegano un linguaggio simbolico o delle immagini. Tuttavia questo uso consapevole dei simboli è soltanto un aspetto di un fatto psicologico di grande importanza: anche l’uomo produce simboli inconsciamente e spontaneamente sotto forma di sogni.

Non è facile afferrare questo punto, ma è necessario arrivare a farlo se vogliamo conoscere qualcosa di più sul modo in cui opera la mente umana. Se riflettiamo un momento ci rendiamo subito conto che l’uomo non percepisce o comprende mai nulla completamente. Egli può vedere, udire, toccare e gustare, ma la capacità della sua vista e del suo udito, come pure ciò che gli viene rivelato dal tatto o dal gusto, tutto dipende dal numero e dalla qualità dei suoi sensi. Questi limitano la sua percezione del mondo che lo circonda. Usando strumenti scientifici egli può compensare in parte le deficienze dei propri sensi. Per esempio egli può estendere il suo campo visivo ricorrendo al binocolo o il suo campo uditivo attraverso l’amplificazione elettrica; tuttavia anche i più complessi apparati non possono far di più che trasportare oggetti distanti o di piccole dimensioni nel suo campo visivo o rendere più udibili suoni deboli. A prescindere dagli strumenti da lui usati, a un certo punto l’uomo raggiunge un limite di certezza al di là del quale la sua conoscenza non può procedere.

Ci sono, poi, aspetti inconsci della nostra percezione della realtà. Il primo è costituito dal fatto che anche quando i nostri sensi reagiscono a fenomeni reali, a visioni, a suoni, essi vengono in qualche modo tradotti dal piano della realtà a quello della mente. Qui essi diventano eventi psichici la cui sostanziale natura è inconoscibile, in quanto la psiche non può conoscere la propria sostanza psichica. In tal modo ogni esperienza contiene un numero infinito di fattori sconosciuti, per non dire del fatto che ogni oggetto concreto è sempre sconosciuto sotto certi aspetti dal momento che non siamo in grado di conoscere la natura sostanziale della materia in sé.

Perciò esistono certi eventi che noi non abbiamo registrato consapevolmente: essi sono rimasti, per così dire, al di sotto della soglia della coscienza. Essi sono accaduti ma sono stati assorbiti subliminalmente senza la partecipazione della nostra conoscenza consapevole. Noi possiamo prender coscienza di questi avvenimenti solo in un momento di intuizione o tramite un processo profondo di pensiero che ci porti in un secondo momento alla consapevolezza del fatto che essi debbono essersi necessariamente realizzati. E benché si possa averne inizialmente ignorata l’importanza emotiva e vitale, essa riaffiora dall’inconscio come una specie di fenomeno riflesso.

Essa può apparire, ad esempio, sotto forma di un sogno. Di regola, l’aspetto inconscio di ogni evento si rivela a noi nei sogni, dove esso appare non come pensiero razionale ma sotto forma di immagine simbolica. Storicamente è stato lo studio dei sogni a porre gli psicologi in condizione di investigare l’aspetto inconscio degli eventi psichici manifestantisi al livello della coscienza.

È sulla base di questa evidenza che gli psicologi suppongono l’esistenza di una psiche inconscia, sebbene molti scienziati e filosofi neghino la sua esistenza. Essi argomentano ingenuamente che una posizione di questo tipo implica l’esistenza di due «soggetti», o, per dirla in linguaggio comune, di due personalità all’interno dello stesso individuo. Ma è proprio questa la sua precisa implicazione ed è una delle più drammatiche caratteristiche dell’uomo moderno il fatto che egli soffra di questa divisione della propria personalità. Non si tratta assolutamente di un sintomo patologico: è un fatto perfettamente normale che può essere osservato ovunque e in ogni tempo. Non accade solo al nevrotico che la propria mano destra non sappia che cosa fa la sinistra. Questa drammatica situazione è un sintomo della condizione generale di incoscienza che costituisce l’innegabile eredità comune di tutto il genere umano.

L’uomo ha sviluppato la coscienza con lentezza e laboriosamente in un processo che condusse dopo numerosissimi secoli allo stadio della civiltà (che arbitrariamente viene fatta risalire all’invenzione della scrittura intorno al 4000 a.C.). Questa evoluzione è tutt’altro che completa dal momento che larghe zone della mente umana sono ancora avvolte dall’oscurità. Ciò che noi chiamiamo «psiche» non corrisponde affatto alla coscienza e ai suoi contenuti. […]

Carl Gustav Jung

L’UOMO E I SUOI SIMBOLI – Tascabili Editori Associati

Foto: RETE

 

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