Le fiere sono un’istituzione antichissima e un fenomeno diffuso in tutte le parti del mondo, che rispondeva alle esigenze del commercio particolarmente in tempi di difficili comunicazioni, di instabilità e di frammentazione politica, favorendo scambi regolari e periodici, a varia distanza.
Sorte nei luoghi di naturale incontro di vie commerciali, le fiere ottennero ben presto, grazie alla loro insostituibile funzione, il riconoscimento e protezione dall’autorità costituita, diventando spazi dotati di immunità, privilegi, statuti particolari e spesso di una giustizia autonoma.
Le autorità traevano grandi benefici dall’esistenza di una fiera nel proprio territorio, che attirava prodotti e denaro; esse potevano riscuotere dazi e imposte (sia pure entro una certa misura: non dovevano scoraggiare l’arrivo dei mercanti) sfruttando così l’impulso economico dato da una fiera importante a tutta l’economia. Da un certo periodo in poi, dunque, furono elementi fondamentali nel quadro della politica economica di una nazione.
I contadini e le fiere
Quei contadini, che si sono avvantaggiati della disgregazione delle strutture agrarie per migliorare la loro condizione diventano anch’essi degli acquirenti, se non di prodotti agricoli, certamente di manufatti.
Le testimonianze, soprattutto d’ordine letterario, su questo problema sono innumerevoli. Ma si tratta, ovviamente, d’esemplificazioni di tipo individuale, che possono sembrare poco significative. Di contro, un altro fenomeno permette di seguire da presso questi mutamenti. Si tratta della creazione (o, almeno, del considerevole accrescimento d’importanza) delle fiere. Non delle «grandi», «famose» fiere internazionali, quanto di quelle piccole, di villaggio, per le quali – addirittura – è difficile stabilire la differenza netta tra «fiera» e «mercato». Ma, fiera o mercato che fossero, questi luoghi d’incontro, questi appuntamenti mercantili costituiscono un elemento di primaria importanza.
Le piccole fiere di villaggio
Vi si commerciano animali, cereali, tessuti, attrezzi agricoli, pellami. […]. Se individualmente considerate, queste fiere non hanno grande rilievo; ma esse l’acquistano, allorquando si pensi che, disposte a pochi chilometri tra loro, un opportuno calendario consente agli operatori di spostarsi dall’una all’altra. In ogni modo, il vero interesse di queste manifestazioni commerciali va visto, non tanto nella quantità di merci in esse trattate, quanto nella partecipazione e nel movimento di persone a cui esse davano luogo.
E molto probabile che l’attività di queste fiere nuove o rinate a nuova vita non abbia compensato la caduta di altri centri sacrificati o di altre attività declinanti. Ma il problema non è quello di trovare cifre che puntino verso sempre nuovi record. Che gli aspetti quantitativi della distribuzione commerciale siano importanti è certo incontestabile; ma anche i mutamenti di tipo qualitativo non lo sono da meno. Certo, è più affascinante per il lettore, e più facile per lo storico, seguire le vicende d’una grande figura di mercante o d’una grande dinastia d’uomini d’affari. Ma in tal modo si seguono davvero da vicino i movimenti profondi e reali dell’economia europea? Si colgono davvero i mutamenti suscettibili di creare delle situazioni nuove nell’economia rurale? Dire, per esempio, che lo stock d’oro rappresentato dai capitali dei Peruzzi, dei Medici e dei Fugger sia andato aumentando da un caso all’altro costituisce veramente un’indicazione valida per comprendere la storia economica d’Europa? Non diciamo che quel fatto non sia importante. Diciamo, invece, che, così posto, esso è poco significativo e che il problema più interessante è quello di sapere in che modo si sia avuto quell’aumento.
Nuovi protagonisti dell’economia
Non sarà azzardato dire, allora, che esso fu dovuto non solo a un generico aumento delle attività, a una moltiplicazione del giro dei «grandi» affari, ma anche al cambiamento qualitativo che, nella storia d’Europa dei secc. XIV – XV, è rappresentato dall’affermarsi di uomini precedentemente esclusi sia dal ciclo di produzione industriale che dal settore della distribuzione di beni. Il loro ruolo, singolarmente considerato, è certamente minimo: due soldi di pepe o quattro soldi di grano non cambiano molto la situazione d’un mercato. Ma, moltiplicati per migliaia d’unità, possono contribuire a mutare profondamente la situazione del mercato europeo.
Da “La Storia 6” – La Biblioteca di Repubblica
Circolazione di persone, merci e cultura, ma anche spettacoli, gioco d’azzardo, esenzioni fiscali, amnistie e reliquie di santi in bella mostra. Ecco cosa accadeva nelle fiere medievali[…]
La fiera, dal Medioevo a oggi, è un incontro a cadenza regolare in cui gli operatori economici hanno l’occasione di incontrarsi e conoscersi. Per esibire e scambiare prodotti, soprattutto, ma anche per conoscere nuovi mercati e Paesi, per scambiare cultura e idee. Nell’Europa del X secolo, la fiera è stata al contempo sintomo e motore di una trasformazione economica nella quale merci, moneta e credito iniziavano a intessere un forte legame, con importanti ricadute sulla società.
Commercio e divertimento
In una fiera medievale accadeva di tutto, anche perché il pubblico era dei più vari. Le fiere, spiega Elisa Occhipinti, docente di Storia Medievale dell’Università degli Studi di Milano, «si affermarono con l’appoggio della Chiesa e avevano luogo originariamente nei pressi della cattedrale, poi fuori le mura». All’interno della fiera si assisteva a spettacoli e gare e l’affluenza era favorita anche dal fatto che spesso erano organizzate in occasione di feste religiose. «Spesso – prosegue la storica – si concedevano esenzioni dai pedaggi relativi al trasporto delle merci, la liberazione degli arrestati per debito e si autorizzava lo svolgimento di giochi altrove proibiti.»
Denaro e potere
Gli scambi su ampia scala fecero affluire moneta anche in zone periferiche e introdussero il concetto di credito con i suoi strumenti. In città cominciarono ad affluire merci estranee all’ambito urbano e le collettività che ospitavano le fiere (spesso proprio le città) godettero di un generale incremento del reddito e di alcuni privilegi. Lo Stato assoluto, infatti, aveva tutto l’interesse nel favorire lo svolgersi di questi appuntamenti stagionali (per esempio con l’esenzione dai dazi), perché attraverso l’aumento della ricchezza dei sudditi e l’unificazione territoriale il mercato consolidava il potere del sovrano.
Tra mercanti e monaci
Il commercio e la Chiesa durante la fiera andavano a braccetto, tanto che i mercanti, molto mal visti nell’Alto Medioevo, iniziarono ad essere accettati «e spesso ospitati anche in luoghi precedentemente riservati ai pellegrini», racconta Occhipinti. Non solo, «durante le fiere erano spesso reperibili reliquie di santi, per lo più provenienti dall’area mediorientale, portate da ecclesiastici e in particolare da monaci», aggiunge la storica.
Da Champagne e Fiandre…
Tra il 1200 e il 1300 secolo le fiere più importanti furono quelle di Champagne e delle Fiandre meridionali. Erano quelli che oggi chiameremmo eventi internazionali: attiravano mercanti da tutta Europa, in particolare italiani e provenzali. Alberto Grohman, docente di Storia economica all’Università di Perugia, spiega che all’epoca «tutto il variegato mondo del commercio europeo s’incontrava in questi raduni, che sono stati definiti la “casa di cambio dell’intera Europa”» (“cambi” sono le attività bancarie, per esempio relative alle lettere di credito).
Da – https://www.focus.it/comportamento/economia/le-antiche-origini-della-fiera
Foto: RETE